
La grande storia della t-shirt bianca Da imbarazzante biancheria intima a pietra angolare dei migliori guardaroba del mondo
La storia della moda, e ancora di più la storia dello streetwear, è essenzialmente composta da capi e materiali che, nati per svolgere umili funzioni pratiche, sono diventati col tempo e attraverso la cultura sempre più iconici. Ciò che è opulento per un secolo, è ridicolo per il secolo successivo, così come ciò che umile, offensivo o imbarazzante per il passato può diventare normale per il futuro. L’esempio migliore di questo processo, che vede il basso continuamente elevarsi verso l’alto e, di contrasto, ciò che in alto via via sparire, è la t-shirt bianca, il capo più ubiquo e universale di tutti, la cui storia inizia nel moralistico mondo della biancheria intima post-Vittoriana, snodandosi poi attraverso guerre e schermi cinematografici fino ad approdare sui palchi musicali della counterculture e, infine, sulle passerelle moda. In breve, la storia della t-shirt bianca segue la storia della stessa società moderna: per ogni momento-cardine del secolo scorso, un nuovo significato si è stratificato su di essa, facendola diventare il classico irrinunciabile che è oggi.
Le origini: da biancheria intima a uniforme militare
Nel 1869 a New York venne brevettata la union suit, sorta di tuta overall che copriva l’intero corpo e che, essendo un indumento economico e caldo, venne presto associato alla working class e di conseguenza trattato con un certo spregio. La successiva evoluzione fu la bachelor suit della Cooper Underwear Company, nata nel 1909, che attuò la divisione fra top e bottom. La parte superiore divenne in seguito conosciuta come hanley – nome preso dalla regata di Hanley, essendo il capo uno dei preferiti dagli atleti durante i propri allenamenti.
Alla fine degli anni 2010, infine, le due estetiche si mescolarono con il connubio definitivo fra moda, streetwear e cultura hip-hop. Stile e funzione divennero una cosa sola e agli hipster non serviva più uno scollo a V per dimostrare la propria originalità così come ai cantanti hip-hop non servivano abiti XXL per testimoniare la propria realness. I vari stili trovarono una sintesi e si aprirono a un maggiore eclettismo: i cantanti iniziarono a disegnare abiti, a collaborare con grandi case di moda e ad accettare donne e minoranze LGBTQ+ nelle proprie fila - il mondo di riferimenti culturali si ampliò a dismisura ma divenne un terreno sempre più comune. Di conseguenza arrivò presto una sintesi fra uno stile più high-end e il disimpegnato stile quotidiano. Jerry Lorenzo e Kanye West, e i loro rispettivi brand, rappresentano l’esempio perfetto di questa tendenza che, nei prossimi dieci anni, troverà quasi di certo il suo simbolo decisivo nella collaborazione fra Yeezy e Gap - cioè il momento in cui uno dei maggiori esponenti della cultura del fashion hip-hop contemporaneo, Kanye West, si dedicherà alla creazione di una linea di basics elevati democratici e aperta a tutti con in mente la visione della nascita di una nuova icona trasversale della moda.