
Come funzionano le stagioni della moda? Le contraddizioni di un sistema che molti vorrebbero abbandonare
La pandemia di coronavirus, con la crisi del settore fashion che si è portata dietro, ha spinto numerosi designer a criticare il modello della stagionalità nella moda. L’attuale calendario delle sfilate, degli ordini e della produzione è un meccanismo complesso, modellato sulle esigenze delle molte parti che compongono l’industria, di chi vende, di chi produce e di chi acquista. Il suo scopo principale è commerciale: presentare le collezioni ai buyer, produrle industrialmente e farle arrivare ai retailer secondo la schedule più strutturata, efficiente e sincronizzata possibile. L’intero processo possiede ritmi alquanto serrati: la produzione industriale prosegue per l’intero corso dell’anno, come anche i processi di design e la distribuzione, seguendo un calendario diviso in due stagioni principali e due secondarie. Per fare un esempio concreto del funzionamento del calendario della moda, si può analizzare il percorso seguito dalle collezioni SS20 attualmente in vendita nei negozi.
Il ciclo di vita delle collezioni primaverili
Con quattro collezioni l’anno e un ciclo di progettazione, produzione e distribuzione in perpetuo movimento i brand sono costretti a creare nuovi prodotti per l’intero corso dell’anno. Questo a sua volta si traduce in una sovrapproduzione di abiti che i retailer sono costretti a smaltire tramite forti sconti applicati solo pochi mesi dopo che la merce è arrivata in negozio - con l’effetto che il cliente che ha pagato un prezzo elevato per il proprio capo lo ritrova deprezzato anche della metà anche quattro mesi dopo. Un fenomeno contro cui Dries Van Noten e un altro gruppo di designer e buyer si è scagliato, chiedendo che la presente crisi del retail diventi l’opportunità per frenare i ritmi dell’attuale ciclo produttivo e si ritorni a una moda più lenta e a un tipo di prodotto più longevo, sia materialmente che esteticamente.