Shawn Stussy: l'uomo che inventò lo streetwear Dai primi surf decorati fino alla collaborazione con Dior

«Vestivo Stussy dalla testa ai piedi tutti i giorni quando ero un teenager. Era qualcosa da cui ero davvero, davvero ossessionato». Sono parole che qualunque teenager dei primi anni ‘90 potrebbe aver pronunciato, e che da sole restituirebbero il peso dell’influenza di Stussy sulla sottocultura di quegli anni che ha formato l’estetica di ciò che oggi chiamiamo streetwear - di cui fu proprio Shawn Stussy, il fondatore dell’omonimo brand, a coniare la definizione per la prima volta.

Queste stesse affermazioni sono però ancora più rilevanti se pronunciate da Kim Jones, direttore creativo di Dior, tra i più potenti e influenti fashion designer della storia recente della moda, specialmente in un periodo in cui lo streetwear ha cominciato a entrare nella narrativa dell’alta moda. Jones ne ha parlato, in particolare, nell'intervista con WWD in cui confermava ufficialmente la chiacchierata collaborazione con Shawn Stussy, 26 anni dopo il suo ritiro dalle scene. Oltre che per il suo valore artistico, l’iconicità della collabo sta senz’altro nelle figure che vede coinvolte: da una parte c’è Jones, dall’altra uno degli OG del mondo dello streetwear, che ha rivoluzionato il modo di vestire di una intera generazione di americani, inventando uno stile che prima, semplicemente, non esisteva. 

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Ma già nei primi anni ‘90, Shawn Stussy comincia a pensare di abbandonare la direzione creativa del brand, per ritirarsi a vita privata, passare del tempo con la sua famiglia e godersi il sole delle Hawaii:

«Ho avuto tutto quello che volevo, ma sono arrivate anche grosse responsabilità. E che senso ha avere tutto, se non puoi avere il tempo di godertelo?»

Gli anni immediatamente successivi all’uscita di Shawn dalla società sono i peggiori per Stussy, che si trova priva di quel fondatore che ne ha, passo dopo passo, coniato l’estetica. In quel momento, con Frank Sinatra Jr al comando, un team creativo nuovo di zecca e l’aiuto dei membri della Tribe in Europa e Giappone, Stussy trova la sua fortuna fuori dagli USA, riuscendo ad espandere l’idea di streetwear e di cultura skate all’estero, con il Giappone come principale mercato. Nel 2014, con 50 milioni di dollari di ricavi, Stussy poteva contare su uno spaccato di mercato di circa 60-40 verso l’estero. In più, ad aiutare il processo creativo, c’era lo smisurato archivio lasciato da Shawn Stussy

Un archivio nutrito della grande quantità di loghi, grafiche e lettering realizzati da Shawn Stussy durante i primi anni di attività del brand. Un lettering che poteva essere ritrovato nei dischi di Malcolm McLaren (una delle prime influenze di Shawn) o nei co-brand con Carhartt, assieme al quale Stussy contribuì a delineare una precisa estetica per il mondo hip-hop, fatto di un misto di outerwear e skate culture che per anni è stata il benchmark stilistico della Golden Age. Il modo in cui Shawn Stussy giocava con il suo logo sarebbe diventato un vero e proprio modus operandi per tantissimi designer dopo di lui, Virgil Abloh in testa. Alla fine degli anni ‘80, Stussy aveva ad esempio, realizzato una shirt decorata da un monogram chiaramente ispirato a Louis Vuitton.

«Sapevo che Shawn l’aveva fatto. Era alla fine degli anni ‘80, credo. Lo chiamavamo ‘Stu-ey Vuitton,’ e in realtà ci hanno fatto causa. Con tutte quelle variazioni sui loghi, abbiamo una lunga storia di lettere di ingiunzione», ha detto una volta Sinatra a BoF. 

Col tempo, l’utilizzo dell'iconico logo è diventato per Shawn Stussy anche uno dei motivi di attrito con il brand che aveva abbandonato. Nel novembre del 2015, il founder pubblicò un post Instagram in cui accusava l’azienda di aver utilizzato alcune vecchie tee da lui realizzate con Laura Roberts senza il suo consenso, o ancora durante l’intervista ad Acclaim si disse abbastanza stupito che, quasi vent’anni dopo il suo ritiro, il brand utilizzasse ancora tutta la sua creatività. 

Sono stati però proprio il lettering e la capacità di reinterpretare loghi a far sì che Kim Jones scegliesse proprio Shawn Stussy per quella che potrebbe diventare la più chiacchierata collaborazione dei prossimi anni. Nella prima sfilata americana di Dior a Miami - in occasione dell’Art Basel - il nuovo logo Dior disegnato da Stussy ha dominato la maggioranza dei capi. Un ritorno inaspettato - dopo la parentesi di Double/S, il brand con cui Shawn Stussy era tornato alle origini - per tempistiche e per modalità che, oltre a segnare nuovi orizzonti per la collaborazione tra moda e streetwear, marca il ritorno di una estetica che negli anni centrali nello sviluppo dello streetwear è stata «l’uniforme di una generazione».