Qual è il significato degli accessori di Supreme? Tra performance art, violenza e droga: siamo stati ad Hong Kong per capire il senso degli accessori Supreme

Provate a nominare un brand che si presenta come un marchio di vestiti per skateboard e che però produce anche oggettistica che varia dai classici sticker, posaceneri, una scala, un flipper, statue di putti in ceramica, un kayak gonfiabile, una cassaforte, un set di coltelli, una chitarra elettrica, un piede di porco, un fermacarte, una trombetta, una pistola sparasoldi, una mazza da baseball, un pallone da basket, un martello, una finta bibbia portaoggetti, un estintore e - credetemi - molto altro.
Se vi viene in mente solo il suono vibrato di "Supreme" avete ragione, perché non c'è nessun altro brand di moda che ha elevato la produzione di accessori a pura arte come ha fatto il brand fondato da James Jebbia nel 1994. Gli accessori di Supreme sono magnetici ed interessanti: rappresentano la parte più oscura e strana della produzione del brand, c'è che li considera parte di una continua performance art, chi ci vede un legame profondo con la criminalità e chi invece li tratta come oggetti sacri, quasi religiosi.
Per capirne di più siamo andati ad Honk Kong alla galleria HART Hall dove la casa d'aste Sotheby's ha organizzato The Supreme Vault: 1998 - 2018, una mostra della collezione completa di oltre 1300 accessori Supreme prodotti tra il 1998 e il 2018. La collezione è andata all'asta online, chiusa il 28 maggio.

L'ipotesi Performance Art

Allo stesso la photo tee di Supreme - come i suoi accessori -  non sono un messaggio violento diretto ed esplicito, è una rappresentazione distaccata del crimine, qualcuno direbbe artistica. La sintesi più palese di queste due componenti della mistica del brand fu il brick prodotto nel 2016: un semplice mattone rosso - tipico dei palazzi di New York City - con la scritta Supreme impressa sopra, il prezzo di retail era di 30 dollari. Quando fu droppato internet impazzì, tra post su Instagram, articoli d’opinione e denuncia per la disonestà del brand, un utente di Reddit calcolò addirittura il costo di una casa costruita solo in mattoni Supreme: più di 4 milioni di dollari.

Eppure come gli altri accessori, il mattone andò sold out in pochi minuti e fu il compimento di una performance act in cui parteciparono i clienti, i giornalisti e tutti coloro che resero la release un evento mediatico. Supreme riuscì a provare il punto che anche un mattone che vale mezzo dollaro, con il logo Supreme aveva un valore molto più alto per un certo numero di persone che il mercoledì sera si erano accampate fuori dagli store Supreme in tutto il mondo e per chi l’ha comprato online nei mesi successi, pagandolo spesso più di 200 dollari. Dal punto di vista di chi ha comprato il mattone Supreme, si tratta di un atto di fede verso il brand, chi lo compra lo fa solamente per il valore simbolico di quell’oggetto o perché ha capito lo scherzo. Il mattone Supreme è un pezzo che ricorda la merda d’artista di Piero Manzoni e l’orinatoio di Marcel Duchamp, in questo senso Jebbia si inserisce sulla scia dell’arte del ready-made in perenne bilico tra la presa in giro allo spettatore (e al sistema dell’arte) e la rivendicazione dell’artista che eleva ad opera un oggetto comune semplicemente firmandone la sua elevazione.

Gli accessori Supreme rappresentano uno degli aspetti più controversi e complessi del brand di James Jebbia, che nonostante abbia sempre giustificato ogni oggetto prodotto con la sola frase "We just want to sell good products" essi nascondono un significato molto più profondo.