Benetton: United colors of fashion La storia del marchio, dal primo maglione alle iconiche campagne pubblicitarie di Oliviero Toscani

Benetton sfilerà per la prima volta a Milano. Il marchio aprirà la Milano Fashion Week presentando la collezione maschile e femminile FW19 con uno show co-ed che si terrrà presso gli spazi di Area 56 in via Savona. L’evento sarà l’occasione per conoscere come l’heritage della storica azienda verrà interpretato e forse rivoluzionato dal nuovo direttore creativo Jean-Charles de Castelbajac. Approfittiamo dell’imminente evento per ripercorrere la storia di un’azienda che ha fatto la storia della moda italiana e non solo, anticipato i colossi del fast-fashion, rendendo il maglione un item trendy, scioccando e facendo riflettere con le campagne pubblicitarie realizzate con Oliviero Toscani

 

La Storia

Tutto inizia nei primi anni ’50 come racconta Luciano Benetton:  

“Mia sorella Giuliana confezionava maglie per un negozietto delle nostre parti. Un giorno, mi regala un maglione di un luminosissimo colore giallo. Beh, tutti lo volevano. Erano stanchi dei colori tristi e smorti dell’epoca. Allora ho detto: dai, proviamo, tu Giuliana crei e io vendo. Abbiamo comprato una vecchia macchina che faceva le righe alle calze a rete. La vendevano al peso del ferro. L’abbiamo trasformata. Da allora non ci ha più fermati nessuno.”

Il loro primo marchio ufficiale si chiama Très Jolie e diventa Benetton nel 1965, quando si uniscono al progetto anche gli altri due fratelli, Gilberto e Carlo, i quali si occupano rispettivamente degli aspetti finanziari e di quelli tecnici e produttivi. Poco dopo comparirà “folpetto”, il logo disegnato nel 1971 da Franco Giacometti e Giulio Cittato che contraddistinguerà i prodotti Benetton. Un piccolo polpo, che ricorda per l'intreccio anche una particolare trama di tessuto.

L’idea geniale che porta la famiglia al successo è semplice e, allo stesso tempo, innovativa: rimodernare il classico maglione di lana. All’epoca questo item era disponibile solamente in tinte base, ora si voleva elevarlo ad capo alla moda, proponendolo in 36 colori grazie allo sviluppo di una tecnica di tintura di capi pre-confezionati in lana non candeggiata, che permette di produrre molte varianti di prodotto in modo rapido, economico e su richiesta. L’impresa decolla in brevissimo tempo e, dal primo negozio aperto a Belluno nel 1966, il marchio si espande a macchia d’olio grazie a prezzi contenuti e ad un sistema di franchising basato su una rete indipendente di partner commerciali. Il successo di quella che ormai è la società quotata in borsa Benetton Group Spa sembra inarrestabile, così come le innovazioni e le idee vincenti. Tra queste, un sistema informativo capace di creare un collegamento diretto tra ordini, magazzino e distribuzione; una struttura delle collezioni snella, per accelerare i tempi di produzione e incrementare la crescita nella rete internazionale; la costruzione del primo magazzino completamente robotizzato già nel 1984. Tutte decisioni frutto di un’ottima intuizione imprenditoriale, ma il fattore X, l’elemento che permetterà al marchio di Treviso di entrare nella storia è la partnership con Oliviero Toscani. Sono le sue campagne di comunicazione ad alto impatto sociale con immagini scioccanti e provocatorie a far conoscere Benetton in tutto il mondo. È sempre il fotografo a sviluppare il famosissimo slogan “Tutti i colori del mondo”, poi “United Colors of Benetton”, frase che fa riferimento agli abiti colorati dell’azienda e contemporaneamente promuove un’idea positiva di diversità culturale. 

Tutto cambia dal 2000, la comunicazione del brand passa a Fabrica e la concorrenza di colossi fast fashion come H&M e Zara prende il sopravvento sul mercato. Invece di continuare a focalizzarsi sul “progetto moda”, il gruppo dirigente inizia ad investire in altri settori: nelle autostrade, negli aeroporti, nelle grandi stazioni e negli autogrill. Nel 2003 la famiglia Benetton annuncia il ritiro progressivo dalla gestione diretta dell'azienda per lasciare spazio a manager esterni. Le perdite economiche aumentano, chiudono sempre più negozi e la reputazione del marchio viene intaccata da numerose accuse, di sfruttamento e violazione dei diritti umani, come la spinosa questione che oppone, nella Patagonia argentina, gli indigeni Mapuche al Gruppo Benetton, proprietario di 900.000 ettari acquisiti nel 1991. Secondo le accuse, il gruppo sarebbe colpevole di aver costretto gli autoctoni a dover sfollare dalle terre nelle quali hanno sempre vissuto. I numeri parlano chiaro: Inditex, nel 2016, fattura più di 23 miliardi di €, mentre Benetton solo 1,37 miliardi di €, nel 2017 registra una perdita pari a 216,2 milioni, che segue quella di 37,2 milioni realizzata nel 2016. Indignato per la situazione, lultraottantenne Luciano Benetton decide di tornare ai vertici dellazienda e in unintervista a La Repubblica spiega:

“Mentre gli altri ci imitavano, la United Colors spegneva i suoi colori. Ci siamo sconfitti da soli. I negozi, che erano pozzi di luce, sono diventati bui e tristi come quelli della Polonia comunista. E parlo di Milano, Roma, Parigi… Abbiamo chiuso in Sudamerica e negli Usa...Hanno smesso di fabbricare i maglioni. È come se avessero tolto l’acqua a un acquedotto. Ho visto cappotti alla russa, con il doppiopetto, il bavero largo, le spalle grosse… di colore grigio sporco. Pensi che hanno chiuso le tin-to-rie”.

Insieme a lui torna anche il collaboratore storico Oliviero Toscani.

 

Benetton, Oliviero Toscani e la campagne pubblicitarie rivoluzionarie.

Una delle più grandi intuizioni di Benetton è stata capire che la comunicazione non si deve comprare da un fornitore esterno, ma nascere dal cuore dell’impresa. Dal 1982 al 2000, ad aiutare l’azienda veneta a sviluppare questo concetto è Oliviero Toscani. Insieme i due partner danno vita a pubblicità iconiche, unendo a immagini semplici, dirette e di impatto, una esplicita critica sociale. Talmente innovative da essere viste come uno spartiacque tra un modello commerciale di fotografia pubblicitaria tradizionale e quello moderno, in cui viene rovesciato il rapporto tra testo e sottotesto del messaggio. Le cause sociali diventano il perno delle campagne istituzionali, mentre prodotto, marca, merce sono ora il sottotesto. Toscani realizza immagini forti che, nati con lo scopo di catturare l’interesse e l’attenzione della gente impedendo l’indifferenza, scioccano, provano incidenti diplomatici, raccolgono critiche e querele dalla Vaticano alla Casa Bianca, venendo spesso censurate e boicottate. L’accusa più diffusa è quella di decontestualizzare e mercificare  la cronaca e i problemi del mondo trasformandoli in una sorta di oggetti usa e getta. Qualunque sia l’opinione generale, è innegabile che le campagne di Benetton e Toscani abbiano segnato la nostra epoca e, anche grazie alle tante polemiche, abbiano permesso al gigante italiano della moda di farsi conoscere in tutto il mondo. I soggetti del fotografo sono pazienti affetti da AIDS, prigionieri politici, profughi, rappresentanti del clero, persone di qualunque razza, religione o orientamento sessuale.

Lo avrebbe fatto all’apice del successo? Forse no. Ora che ai vertici è tornato Luciano Benetton, e con lui Toscani, le cose protrebbero cambiare. Si spera migliorino anche le offerte strettamente fashion e che il nuovo direttore creativo Jean-Charles de Castelbajac sappia infondere con la sua esperienza e il suo amore per l’arte un twist interessante alle nuove collezioni, magari aggiornando le creazioni con influenze street o con qualche collaborazione speciale, con un artista per esempio. Sarebbe bello se il destino di Benetton non fosse oramai un pallido ricordo del successo passato.