
Gucci, Balenciaga e quella scommessa sulla logomania Pigrizia creativa o genio iconoclastico?
L’hackeraggio creativo di Gucci e Balenciaga, visto nel recente show della collezione Aria, è stato forse il fashion moment più importante della stagione, con tutta la sua potenza che è stata veicolata tramite un uso massimalista dei loghi giustapposti di entrambe le maison. C’era un tailleur di strass con i due loghi in lettering obliquo, lo stesso lettering del solo logo di Balenciaga era stampato attraverso un secondo completo ricoperto dalla stampa Flora di Gucci, un terzo cappotto maschile nero dal taglio molto Balenciag-esco era a sua volta coperto del monogram di Gucci in strass blu e così via.
Ma allora perché Gucci insiste con la logomania? In primo luogo andrebbe forse detto che i capi più classicamente logati di Gucci sono spariti dalle collezioni del brand da anni. A Michele piacciono i pattern dal sapore vintage, è vero, ma non lo si potrebbe certo accusare di pigrizia anche perché ha dimostrato e continua a dimostrare che i pattern con cui raccontare il suo Gucci possono essere dei più vari: la collezione Overture per esempio vede una forte ricorrenza di monogrammi creativi, con i loghi più espliciti presenti solo su classici accessori come cinture e borse, mentre il nome del brand è scritto a chiare lettere solo su alcune t-shirt. L’uso forte di monogrammi e loghi “doppi” in Aria è forse più una riaffermazione della forza del logo come pilastro culturale della forza di entrambi i brand e, perché no, anche un desiderio di spingere sul mercato categorie di prodotti già redditizie che potrebbero esserlo ancora di più. Non è sicuramente un mistero che le linee Monogram siano il pane quotidiano delle vendite di una casa di moda e, se queste linee hanno un così largo successo di pubblico che dura per generazioni intere, perché rinnegarlo? Alessandro Michele l’ha abbracciato ma è ancora difficile, adesso, dire chi vorrà a seguirlo.