
Come LVMH è diventato il più grande conglomerato di lusso al mondo Breve storia del conglomerato francese guidato da Bernard Arnault
Dopo mesi di trattative, lo scorso ottobre LVMH ha finalmente acquisito Tiffany&Co. L’operazione, la più grande nella sua storia, consentirà al gruppo francese di accrescere la propria presenza negli Stati Uniti e di rafforzare la posizione nell'alta gioielleria, integrando un portfolio che comprende già altri brand del settore come Bulgari, Chaumet, TAG Heuer e Hublot.
La catena resa immortale dal film con Audrey Hepburn regalerà all'azienda un aumento dei ricavi, una cifra già altissima che ha raggiunto nel 2018 i 46,8 miliardi di euro, circa tre volte i 14 miliardi di euro di Richemont e 13,7 miliardi di euro di Kering, da sempre il suo più agguerrito rivale, negli ultimi anni fiscali. Le vendite sono cresciute del 10%, mentre il risultato operativo ha conquistato la soglia di 10 miliardi, vantando un progresso del 21%. Secondo gli esperti, anche se per ora il reparto gioielleria e orologi di LVHM garantisce solo il 9% del fatturato, ha ampi margini di crescita e con l’acquisto di Tiffany raddoppierà al 16%. Gran parte del merito di questi eccellenti risultati è di Bernard Arnault, presidente e amministratore delegato di LVMH, che, con lungimiranza, intuì che un brand di valigie e uno di alcolici sarebbero potuti trasformarsi nel nucleo di un colosso leader mondiale del lusso valutato 220 miliardi di dollari.
Il fiuto di Arnault lo ha portato a essere un "first mover" in diverse occasioni. Ha introdotto il prêt-à-porter in un’azienda legata all’haute couture assumendo Marc Jacobs da Louis Vuitton, consentendo al designer di rivoluzionare il marchio con il suo stile unico e le collaborazioni con artisti contemporanei come Takashi Murakami. Inoltre ha usato lo spettacolo delle sfilate di moda per vendere articoli ad alto margine di profitto come profumi o borse ed è stato uno dei primi uomini d'affari d'oltreoceano ad investire in Cina all'inizio delle riforme dell'economia di mercato di Deng Xiaoping, aprendo un negozio Louis Vuitton a Pechino nel 1992. Ora l’Asia è il posto dove LVMH ha più negozi che nel resto del mondo: 1289 contro i 1153 europei (esclusa la Francia) e 783 negli Stati Uniti. In un’intervista il CEO ha svelato che parte del successo di LVMH "è questa dualità, l'atemporalità e la massima modernità."
Seguendo questa filosofia, negli ultimi anni, LVMH ha aggiunto, tra gli altri, al suo portfolio: Fendi, Bulgari, l'intera Christian Dior (prima del 2017 Groupe Arnault, che è la holding privata posseduta e controllata da Arnault, era l'unico azionista di maggioranza), J.W. Anderson, Rimowa, Stella McCartney e Fenty come parte di una joint venture con Rihanna. Facendo salire le proprietà del conglomerato a quota 75 e generando un fatturato che nel solo 2018 ha superato il record di 51 miliardi di dollari e, negli ultimi cinque anni, si è potuto permettere di incrementare la spesa per pubblicità di due miliardi di euro. Secondo Statista, la piattaforma globale di dati aziendali, è passato dai 3,310 spesi nel 2013 ai 5,52 nel 2018. Nonostante il successo planetario, l'impero francese ha già altri piani per il futuro. Il primo è espandere e consolidare la propria presenza negli Stati Uniti, come testimonia l’affair con Tiffany e l'inaugurazione di una nuova sede produttiva di LV nella Contea di Johnson in Texas.