Guru, il brand della margherita che ha segnato gli anni Duemila La storia del marchio tra t-shirt, incassi stellari, eccessi e fallimenti

Il disegno di quella margherita bianca e di quel logo nero dai tratti decisi hanno segnato la moda italiana dei primi anni Duemila. Guru è entrato nell'immaginario colletivo e, stando alle ultime indiscrezioni, sarebbe pronto a tornare. 

Il brand che nei primi anni 2000 vestiva tutti con le sue t-shirt, sta pianificando il rilancio con la società di Lugano Ibc sagl. Sotto la guida del nuovo direttore creativo Simone Biagioni, già collaboratore di Dirk Bikkembergs e Calvin Klein, la collezione SS20 è pronta a riconquistare l’attenzione persa nel 2008 dopo l'arresto per bancarotta fraudolenta del fondatore Matteo Cambi. Il primo passo per riuscirci è stato il riavvio delle attività di marketing con una serie di sponsorizzazioni di gare ciclistiche, seguito da una distribuzione internazionale affidata alla società monegasca specializzata Ghep

La storia di Guru inizia a Carpi (Modena) nel 1999 quando un ragazzo di 22 anni di nome Matteo Cambi decide di fondare un marchio di T-shirt e felpe insieme all’amico d’infanzia Gian Maria Montacchini.

Volevo creare un’azienda molto semplice, improntata sulla tshirteria. In un paio d’anni nasce l’idea della margherita. La stampa era riconoscibile e anche il marchio aveva un grande impatto grafico. Gian Maria gestiva negozi di abbigliamento a Parma, io allora lavoravo per mia madre a Carpi, nel suo vecchio maglificio. Abbiamo costituito una società con pochi milioni di lire, abbiamo creato il marchio, abbiamo prodotto un piccolo campionario di magliette e felpe. La moglie di Gian Maria faceva le grafiche, usavamo un garage come showroom, dove ci trovavamo nei ritagli di tempo, la sera. 

Il nome del progetto è Guru, scelto senza alcun riferimento alla cultura indiana o altro significato particolare, ma solo perché è una parola originale, facile da scrivere, che si pronuncia allo stesso modo in tutte le lingue. Nel corso del primo anno, su cinquemila magliette prodotte, ne vengono vendute mille. È allora che arriva la margherita a sei petali, un simbolo semplice capace di dare riconoscibilità all’azienda. Ora che c’è il logo, bisogna solo renderlo appetibile coinvolgendo i giusti testimonial. 

All’apice del successo, il golden boy della moda italiana si perde tra feste faraoniche con Lele Mora, Flavio Briatore, Fabrizio Corona, belle donne, alcol e cocaina. Lo racconterà lui stesso in Margherita di spine – Ascesa e caduta dell’inventore di Guru, biografia scritta con Gabriele Parpiglia. È una vita esagerata fatta di 8 grammi di cocaina al giorno, i più costosi alberghi del mondo, ville, auto private, elicotteri, yacht con le sue sette carte di credito che continuano a strisciare un pagamento da centinaia di euro dopo l’altro. La cronaca dell’epoca svelerà che, secondo la Guardia di finanza di Bologna, Matteo e famiglia, “arrivano a spendere due milioni per orologi di marca, 15 per serate di gala in discoteca o in locali alla moda, altri due per noleggiare Ferrari, Bentley o Porsche. In tutto 32 milioni, a cui ne vanno aggiunti altri 22 come compensi per consulenze che Cambi si fa pagare dalla sua stessa azienda. Una voragine finanziaria che contribuisce pesantemente al tracollo del gruppo.” In una recente intervista ad Affaritaliani.it spiega così qual è stato il suo errore:

Essendo Guru una mia creatura, realizzata a 24 anni – io sbagliai nel non scindere mai quello che era l’azienda dai miei vizi, il mio esagerare nelle spese. La trattai come fosse una cosa unica con me, secondo la logica di “l’hai fatta tu, puoi farne un po’ quello che vuoi”. Il grande imprenditore invece sa bene la differenza sostanziale tra sé e l’azienda. E come non abusare di un patrimonio che alla fine non ti appartiene completamente, ma che è anche di soci, dipendenti, fornitori e via dicendo. 

Le indagini su Guru iniziano nel dicembre 2006, dopo una verifica fiscale che aveva evidenziato fatturazioni per operazioni inesistenti. Nel luglio del 2008, Cambi viene arrestato con diversi capi d’accusa, fra cui bancarotta fraudolenta, indebita restituzione dei conferimenti, dichiarazione fraudolenta e false comunicazioni sociali. Quando il Tribunale di Parma dichiara il fallimento della Jam Session Srl e procede all'arresto di Cambi e dei due amministratori Simona Vecchi e Gianluca Mariuccio De Marco, l’azienda ha debiti per più di 100 milioni di euro. Nonostante la pessima situazione, il brand Guru rimane appetibile e suscita l'interesse del Gruppo indiano Bombay Rayon Fashion Limited (Brfl), gigante del settore tessile con circa 30mila dipendenti nel mondo, che ne assume il controllo dal 2008 al 2015. Brfl tenta il rilancio puntando sull'apertura di svariati negozi nel mondo e nel 2012 riassume persino Cambi come consulente, ma, schiacciata dai problemi economici e dai debiti dell’azienda della margherita, non riesce a raggiungere il successo di un tempo. 

Ora Guru è sotto la guida della Ibc sagl e ha un nuovo direttore creativo che spera di ottenere ottimi risultati dalle prossime collezioni, ma la gloria dei primi anni 2000 sembra destinata a rimanere un lontano ricordo.