
I’m not black, I’m Michael Jordan Qual è la misura dell'impatto che Jordan ha avuto sulla black culture?
In un passaggio nella sua biografia Michael Jordan, la vita Roland Lazenby parlando dell’infanzia di Jordan, riporta una sua frase: «Mi consideravo un razzista in quel periodo. Ero contro ogni tipo di persona bianca». Michael Jordan si era ritrovato nella posizione in cui qualsiasi cittadino nero del sud degli Stati Uniti si è ritrovato almeno una volta nella propria vita, e aveva provato sulla sua pelle cosa significasse il razzismo degli anni ‘70. Jordan era d’altronde nato a Wilmington, in North Carolina, in un periodo in cui nello stato risiedeva la sede del nuovo Ku Klux Klan, che andava riformandosi proprio in quegli anni. Pare ci fossero più di 1000 membri del clan in North Carolina, più che in tutti gli altri stati del Sud messi insieme.
Il premio Pulitzer Wesley Morris, in un pezzo di commento a The Last Dance ha scritto come Jordan «ha reso la celebrità “cause-free” - e la celebrità “cause-free” nera - possibile, anzi preferibile rispetto al dover dar conto a tutte le persone di tutte le cose». Jordan è stato per anni l'avamposto culturale di un tipo di sports e di lifestyle che ha rigettato l’impegno politico e sociale alla ricerca della consacrazione della pop culture. Jordan, però, ha fatto tutto questo dalla sua posizione di privilegio in una società, quella americana, che non ha mai fatto realmente i conti con il razzismo istituzionale di cui è impregnata, e che il backlash dell’elezione di Donald Trump, la vicenda di Colin Kaepernick, non hanno fatto altro che esasperare. Michael Jordan è stato il tipo di celebrità che poteva saltare l’annuale visita alla Casa Bianca dei campioni NBA per giocare a golf con un uomo poi arrestato per riciclaggio di denaro. E farlo senza che mai quella decisione potesse essere intesa in alcun modo come politica. E se oggi, nell'era mediatica di Lebron James, del suo impegno propagandistico per i diritti civili degli afroamericani, quel tipo di figura ci sembra quasi irrealistica è perché abbiamo sempre modellato le nostre aspettative della potenza comunicativa degli atleti, e degli atleti neri in particolare, su quello che proprio Jordan era stato in grado di fare. E cioè di cambiare il mondo, solo non nel verso che tutti gli chiedevano.