Ha ancora senso vincere un Oscar? Se si tratta di soldi sì

Chi lo avrebbe mai detto: vincere un Oscar è una questione di soldi. Quando ci si domanda cosa ci sia dietro ad una campagna tra le più letali che si siano viste negli ultimi anni, si pensa sempre che ci sia un ritorno solamente di immagine, ma entra in circolo anche un discorso economico. Non per i giornalisti che, dal lato loro, vanno a ritirare fuori vecchi tweet per fare notizia e piazzarsi come fruitori di notizie, scoop o scandali controproducenti - in particolare se inveiscono verso gli Oscar ritenuti per tanto tempo “so white”, come si usava dire qualche anno fa. Ma sicuramente per le produzioni che, non sempre ma a volte, si avvalgono proprio della stampa ai fini di far circolare le “giuste” informazioni. In questo caso il fatto che Karla Sofía Gascón, protagonista transgender di Emilia Pérez, se ne sia uscita con dichiarazioni razziste. La riesumazione delle frasi discutibili sui canali social dell’attrice possono essere tanto frutto di un lavoro giornalistico volto a trovare la news più sconvolgente, quanto di team di comunicazione e produzione che fanno di tutto per affondare gli avversari, non lasciando dietro prigionieri - e con le accuse di una rappresentazione transfobica e macchiettistica del Messico, con Emilia Pérez si era già sulla buona strada.  

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Ora, in questo caso specifico, sono semplicemente speculazioni e non è riscontrato da nessuna parte che Gascón sia stata incastrata per non farle raggiungere la statuetta. Seppur era vero il suo posizionamento forte nel concorso, col suo essere la prima donna trans ad essere nominata in un clima trumpiano che non riconosce più la categoria come persone (la vicenda del passaporto con la lettera M per “male” di Hunter Schafer è esplicativa) e che l’avrebbe potuta avvicinare alla vittoria proprio per mandare un messaggio. Ma vale comunque la regola mors tua vita mea, perciò il dispiacere di non vincere dell’interprete di Emilia Pérez (con tanto di shitstorm), potrà fare la fortuna di qualche altra sua collega. Per non parlare dell’opera di Jacques Audiard in sé, che da frontrunner è già tanto se vedrà trionfare come miglior non protagonista la quotata Zoe Saldana. La domanda perciò è: vale davvero adoperarsi per un tale bagno di sangue? A quanto pare, per un’industria dello spettacolo che fattura miliardi di dollari ogni anno, la risposta è sì.

È pur vero che, nel corso delle edizioni, la statuetta ha assunto sempre più un valore simbolico, con l’idea di un Academy in grado di poter essere immagine di una nazione, di un ideale, di un agglomerato di voci che, con la loro influenza, potevano rivolgersi e far riflettere appassionati e pubblico. Ci sono state, infatti, vittorie o direttive che hanno modificato il percorso del premio, se si considera soprattutto che dal 2024 sono entrate in vigore le regole sull’inclusività che, soltanto se rispettate, possono portare i titoli a concorrere come miglior film. Ma a rimanere invariato è il boost che una statuetta può dare a un titolo, a una maestranza o a un interprete. Qualcosa che può rivelarsi anche solo fugace e momentaneo - tanti sono i nomi che purtroppo, dopo l’Oscar, sono finiti nel dimenticatoio - ma che può incrementare sia gli introiti delle pellicole sia di coloro che ne hanno preso parte.    

Partiamo dal fatto che anche solo promuovere un film o un performer per gli Oscar ha un costo, e qualsiasi produzione sarebbe contenta di vedere un adeguato ritorno dopo tanti soldi investiti. Cifre talmente esorbitanti da creare addirittura un certo riserbo ad Hollywood, non venendo apertamente dichiarate, ma che secondo alcune voci interne potrebbero aggirarsi in un anno complessivamente attorno ai 100 e i 500 milioni di dollari. Non sorprendono dunque la dichiarazione di un Brady Corbet, in corsa col suo The Brutalist, che ha confessato di non aver ricavato nemmeno un soldo dalla creazione e diffusione del film. Il regista e sceneggiatore ha spiegato che per portare un’opera in giro per il mondo, farla vedere, sperare che tutti i membri dell’Academy la votino, viene richiesta una continua fuoriuscita di denaro, soprattutto quando si tratta di operazioni che, nonostante la sensazione di trovarsi di fronte a un monolite, sono costate “solo” 9.6 milioni di dollari (pochi in confronto alle cifre dei grandi studios hollywoodiani), sottolineando l’animo non danaroso della propria operazione cinematografica.

@marmaryeesa2022 This has nothing to do with her performance and everything to do with her Oscar’s campaign. #fyp #movietok #oscars #theacademyawards #tolesliemovie #andreariseborough #womeninfilm #representationmatters #greenscreen Monkeys Spinning Monkeys - Kevin MacLeod & Kevin The Monkey

Regole di promozione che sono cambiate dopo il 2023 col caso del film To Leslie, diventando più restrittive vista la candidatura inattesa e “coatta” di Andrea Riseborough a miglior attrice. L’opera, infatti, essendo uno di quei veri e pochi casi in cui si può utilizzare il termine “indie” (costata meno di un 1 milione di dollari e girata in diciannove giorni) non aveva il budget adeguato per sostenere le spese di una campagna marketing per gli Oscar, facendo intervenire direttamente dei membri strategici dell’Academy, a cui ha contribuito poi il passaparola riuscendo a portare il film alla notte degli Oscar. Da quel momento, perciò, sono state introdotte delle direttive seppur rimane consentito fare pubblicità pubblica al film, con un annuncio “For your consideration” sulle pagine di The Hollywood Reporter che può arrivare fino a 72.000 dollari. Nel tempo sono state introdotte anche figure apposite il cui lavoro è promuovere la corsa agli Oscar, per un compenso che può andare dai 10 ai 20 mila dollari. Tutto questo perché la possibile vittoria può accrescere la scalata al botteghino dei film. Un risvolto non esatto e che non sempre ha valso ai titoli un effettivo rialzo al box-office, ma che sembra aver funzionato almeno con l’Oscar Bump nel 2024.  

@oscars Still not over this #Barbenheimer face-off between Emily Blunt and Ryan Gosling at the 96th Oscars #ryangosling #emilyblunt #oscars #academyawards #oppenheimer #barbie #thefallguy #movies #roasting original sound - The Oscars

Povere creature! di Yorgos Lanthimos, dopo aver ottenuto 11 nomination, è entrato nella top 3 delle classifiche nazionali, con un balzo del 36% rispetto al momento dell’uscita. Anche The Holdovers, Anatomia di una caduta e Past Lives riuscirono a superare la soglia dei 20 milioni di dollari negli USA, che per un cinema non commerciale è un risultato colossale in epoca post-covid. A non aver fatto campagna di promozione nel 2024 sono stati i due giganti della stagione, Barbie e Oppenheimer, quest’ultimo che risulta il vincitore con l’incasso più alto degli ultimi due decenni da Il Signore degli Anelli: Il ritorno del re (e con un incremento comunque del 2,8 milioni al box-office solo dopo la nomination). Il cinema indie non ha avuto la medesima fortuna se pensiamo a CODA, Nomadland e lo stesso Moonlight di Barry Jenkins, diventato a prescindere un classico. Ma non tutti possono essere Everything Everywhere All at Once, con un incasso mondiale di 140,1 milioni di dollari, il più alto per un’opera indipendente della storia del cinema. Altro caso recente ed esemplare è La zona d’interesse, che dopo aver guadagnato 1,6 milioni di dollari prima dell'annuncio delle nomination agli Oscar in sole 82 sale negli USA, ha presto aumentato il numero e continuato a guadagnare altri 7 milioni di dollari nelle settimane successive. Una sorpresa per un titolo tanto impegnato e, se consideriamo il risultato in America, in lingua straniera (anche in Italia ha raggiunto l’impressionate risultato di 5,383,735 di euro).

   

Persino gli attori, così come i loro film, possono avvalersi di un boost che, di media, porta a un innalzamento tra il 20% e il 60% del loro salario nei progetti successivi, pur con le attrici che devono avere a che fare con il gender gap vedendo i colleghi uomini raggiungere cifre stratosferiche, mentre a loro cambia poi poco. Non è un caso che nella classifica degli interpreti più pagati al mondo del 2023 solo due su otto sono donne (Margot Robbie e Jennifer Aniston), mentre nessuna personalità femminile risulta tra le più pagate per un ruolo in carriera, mentre appare per ben tre volte nel ruolo di Iron Man l’attore Robert Doweny Jr . Ma non si tratta solamente di un ritorno momentaneo, se si riescono a giocare bene le proprie carte. I vincitori degli Oscar, infatti, diventano di grande appeal per i brand e gli inserzionisti più famosi, portandoli a sponsorizzare i propri prodotti e aprire lunghe e proficue collaborazioni. Anche stringere contratti multimilionari con marchi di lusso aumenta il loro successo finanziario.

Sebbene non si possa stimare quanto possa durare il “bump” per un interprete dopo l’Oscar, è indubbio che alla risposta monetaria bisogna aggiungere anche delle opportunità spalancate per il futuro - e lì sta solo a loro e agli agenti saperle cogliere, evitando la “Oscar jinx”, la sfortuna che prende chi vince la statuetta e non ne imbocca più una giusta. E se non si vince, ci si può sempre consolare. Per l’Oscar in sé i vincitori non ricevono un premio in denaro, ma a tutti i candidati nelle categorie principali viene consegnata ogni anno una gift bag dal valore di 100.000 e più di dollari. Il contenuto? Oggetti di lusso, per la skin care, procedure di liposuzione e viaggi, con questi ultimi che ce li immaginiamo un po’ in stile resort di The White Lotus.