Il dietro le quinte del rebranding del Genoa L'agenzia Blossom ci ha raccontato i dettagli del processo creativo del nuovo logo rossoblu e non solo

Da sempre i nuovi loghi ed i rebranding in generale hanno il potere di dividere e spaccare l’opinione dei tifosi. È complesso infatti cercare di tradurre in simboli il nuovo linguaggio che il club cerca di lanciare, tracciando un percorso di crescita che parte da lontano e stravolge il presente per proiettarsi nel futuro o al contrario rimanendo ancorato al passato, prendendo come ispirazione da tutto ciò che è stato adottato nel tempo. Oggi il logo non è più l’oggetto estetico funzionale utile ad identificarsi ma nel tempo è diventato uno degli asset spendibili e di maggior importanza per i club. In qualche modo è diventato una forma di rappresentazione del contesto culturale di cui è parte, vivendo così in un processo di costante evoluzione per rimanere al passo coi tempi per allargare il proprio target e ampliare sempre più il pubblico a cui si rivolge. 

Il calcio italiano, almeno in questi termini, sembra aver assorbito velocemente la necessità di cambiamento. Alcuni loghi sono stati solo impercettibilmente ritoccati, altri modificati in parte, altri del tutto ripensati. Del resto i club sono diventati a tutti gli effetti delle aziende, e in ogni grande azienda, al di là del settore di riferimento, la digitalizzazione pervasiva e l’esposizione sistematica alla piattaforme social hanno forzato la transizione dei vecchi loghi al flat design dei nuovi. Uno degli ultimi rebranding arrivati in ordine di tempo è stato quello del Genoa, che ha ristrutturato il suo logo senza però snaturarlo, affidandosi all'agenzia Blossom. Abbiamo quindi intervistato Giacomo Frigerio CEO e co-founder di Blossom, il creative director Simone Pessina e la content writer Arianna Losi, che ci hanno raccontato i retroscena dell'intero processo creativo.

Blossom voleva lavorare nel calcio o ci si è ritrovata per caso?

No noi in realtà non pensavamo di finire nel mondo del calcio. Abbiamo iniziato a lavorare con la Samp e il Milan, abbiamo lavorato su diverse campagne abbonamenti quando erano ancora solo delle semplici affissioni. Poi è arrivato il Bologna con cui collaboriamo da 7 anni e per il quale abbiamo creato un po’ tutto, dallo stadio allo slogan. Infine è arrivato il Genoa e adesso abbiamo in programma qualcosa anche con il Torino. È stato tutto casuale, diciamo, lavoriamo anche con molte altre aziende.

Nel tempo aggiornare la propria identità visiva è diventato fondamentale, il logo è uno degli asset spendibili e di maggior importanza dei club. Cosa distingue secondo un voi un logo funzionale e di successo rispetto da uno antiquato?

Bisogna valutare caso per caso, ci sono club che hanno una grande storicità e questa cosa in qualche modo va preservata, senza però rimanere troppo ancorati. Il caso del Genoa lo riassume perfettamente, è una cosa su cui ci siamo molto confrontati, cercando un qualcosa che riuscisse a mantenere un impatto estetico moderno e contemporaneo senza però stravolgerne l’anima, è stato un grande lavoro. Abbiamo fatto tante prove per arrivare al risultato finale. Per rispondere invece in maniera più diretta, ti dico, c’è bisogno sicuramente di un aggiornamento in alcuni casi, di una pulizia diversa. Bisogna riuscire ad interpretare qual è l’esigenza del club e intervenire sulla parte fondamentale. Bisogna cambiare provando a mantenere quelli che sono i valori fondamentali, alcuni asset ed elementi estetici che siano parte integrante del club senza snaturarlo. Il restyling è utile purché sia coerente con le esigenze.

La comunicazione dei brand e in generale dei club si svolge sempre più sulle piattaforme digitali, un logo troppo complesso, troppo ricco di effetti visivi realistici e gradienti perde distintività, secondo voi è ormai fondamentale puntare al minimalismo?

Si va verso il minimalismo, più verso il mondo digital. Oggi siamo abituati a vedere tutto online, tutto social, quindi un logo deve vivere nella sua minima dimensione e allo stesso tempo rimanere distinguibile. C’è un’attenzione ormai diversa. Lo vediamo anche nel mondo dell’automotive, tutti hanno cambiato seguendo quest’ottica.  Un altro esempio: se prima i loghi delle squadre erano molto colorati, oggi non è impossibile vedere anche qualcosa di monocromatico. Per fare qualcosa del genere devi avere in mano un logo che sia sintetizzabile in ogni forma. 

Dagli albori del calcio organizzato, le squadre hanno sempre inserito nei propri stemmi delle forme, dei colori e degli elementi che fortificavano il rapporto tra la società e la città o luogo di provenienza. Oggi invece sembra tutto l’opposto, quanto sono cambiati i loghi rispetto al passato?

Sono cambiati come il calcio stesso è cambiato. Tutti i loghi stanno nel tempo, ogni rebranding non arriva per caso, se guardi il logo dell’Inter degli anni ‘80, ti ricorderà le influenze di quel periodo, è normale. Ogni logo segna una timeline, sono pochissime le squadre che mantengono lo stesso logo di quando sono state fondate. La Juventus ad esempio ha stravolto la sua origine, quello che era in passato, è uno dei casi più lampanti. C’è una fase di aggiornamento doverosa per mantenersi nel tempo e per rimanere senza tempo, con un legame al passato sempre definito e netto. Il compito è senza dubbio quello di riuscire ad interpretare dove la società vuole arrivare, dove il mercato sta andando e arrivare ad una volontà comune. 

Bisogna considerare sempre il contesto in cui si vive, la Juventus ha un’audience globale, non è confinata solo a Torino, mentre il Genoa è più rappresentativa di un popolo, una piazza. Qui c’è un legame forte con la città, anche solo la denominazione del Genoa Cricket and Football club è già abbastanza singolare di per sé, difficile da trovare in altre squadre. È una cosa solo loro, stravolgere tutto in stile Juve sarebbe stato sbagliato perché avremmo messo da parte l’heritage del Genoa. 

Nel caso del Bologna invece, come siete riusciti a rinnovare l’identità visiva del club senza tradire i suoi valori e allo stesso tempo innovare e adattare il suo linguaggio?

Sul Bologna ci sono tante storie da raccontare, da dire, tanti viaggi sull’A1, lì è stato un lavoro lungo, super impegnativo. Il primo anno abbiamo cambiato tutto lo stadio in un estate, tutto il linguaggio visivo, l’identità, le proposte commerciali, sito internet. Ma specialmente il font, la sfida era portare un impatto immediato e positivo su una squadra radicata nel territorio che rappresenta l’intera città al contrario del Genoa. Il claim che abbiamo pensato, visto anche l’arrivo di Saputo, con “We are One”, in linea rispetto a quello che la città rappresenta per la squadra e viceversa. Questo era ciò che il presidente voleva comunicare considerato anche il momento cruciale della stagione, la nuova proprietà, la possibile promozione in Serie A questo claim rappresentava una sorta di crocevia, anche sportivo. Siamo riusciti a creare un nuovo linguaggio condiviso, dai tifosi alla società. Per il primo anno abbiamo previsto anche una versione tradotta in bolognese di “We are One”.

Cambiare i loghi, a vostro parere, sta cambiando il calcio?

Se parliamo di bellezza, estetica in generale, la domenica, in tv allo stadio sul giornale dico che c'è una normale evoluzione, figlia del nostro tempo. Secondo me non lo sta cambiando, ma sta facendo vedere che una squadra diventa altro e riesce ad interagire, attrarre e coinvolgere sempre più persone. Che il calcio sia cambiato è sicuro invece, parlando con molti addetti ai lavori c’è una tensione positiva solo anche dalla presenza allo stadio. Le persone stanno ritornando a popolare gli stadi e il design in questo può dare una mano a riposizionarlo completamente. Comunque c’è un’esigenza di cambiare, come abbiamo detto, un cambiamento profondo che parte dal club per cambiare approccio e ampliare gli orizzonti.