Le polemiche legate al Festival di Sanremo Tra fiori, contenuti espliciti, politicamente corretto e dis-inclusione

Dall’1 al 5 febbraio andrà in onda il Festival di Sanremo, questa del 2022 è la 72° edizione e come ogni anno, anche se in decrescita, milioni di persone si ritroveranno davanti alle televisioni, in diretta streaming o su Twitter. Questo perché Sanremo non è soltanto una competizione musicale, né un importante evento culturale, bensì può essere considerato come lo specchio della società italiana contemporanea e un ritrovo collettivo di una che unisce nell’intrattenimento. Sanremo una volta era nell’infanzia di tutti, lo diceva anche Alberto Sordi nel 1981, «Sanremo in fondo è nei nostri nostalgici ricordi» e con la nuova linea, più attenta agli ascolti di un pubblico giovane, si ripromette di portare avanti quella tradizione, incappando però in qualche scivolone tokenistico.

È l’unico festival italiano con un’organizzazione della rete pubblica che riesce a entrare in tutti i media contemporanei: televisione, radio, social media, quotidiani, editoria. Mancherebbe una piattaforma nel metaverso, ma comunque “il futuro” non è così lontano se pensiamo che Achille Lauro e Mahmood, concorrenti in gara a Sanremo, si stanno buttando sugli NFT, e quest’anno il sito d’informazione criptovaluta.it sarà ospite di un breve talk a Casa Sanremo.

Mahmood Ghettolimpo NFT

Possiamo guardare il Festival di Sanremo come una sorta di indice della cultura media in Italia, cercando di fare i conti con la società di oggi. Nel libro Non solo Canzonette Leonardo Campus, ad esempio, racconta da un punto di vista storico il percorso dell’Italia dalla povertà contadina del dopoguerra al boom economico industriale, e lo fa ripercorrendo le canzoni di Sanremo di quegli anni. Sanremo sta nel suo tempo, quest’anno infatti come ospiti della prima serata ci saranno i Måneskin, la band italiana che attualmente sta riscuotendo il maggior successo, ma pensiamo anche in grande al 2012, quando gli ospiti sono stati gli One Direction, o quando nel 2002 Britney Spears ha cantato I'm Not A Girl, Not Yet A Woman. Quindi non è neanche un caso che quest’anno, con il ritorno dell’estetica Y2K, Emma Marrone e Francesca Michielin alla serata delle cover porteranno Baby One More Time proprio di Britney.

Dopo la scorsa edizione, con platea vuota e applausi finti, quest’anno il pubblico di Sanremo sarà in presenza al 100%. E ovviamente non sono mancate le polemiche, il che tra l’altro è quasi un detto (Guai se al festival non ci fossero polemiche).

Parliamo ora di qualche polemica intorno a questa edizione, tra fiori sessisti o meno, canzoni un po’ troppo esplicite e critiche “del politicamente corretto”.

Dare i fiori solo alle donne è sessista?

Anche quest’anno sono confermati i bouquet da consegnare alle cantanti in gara, preparati dal Mercato dei Fiori di Sanremo. La consegna dei fiori è un cult, e il motivo è semplice, Sanremo è la città dei fiori e la floricoltura, storicamente, ha sempre avuto un ruolo centrale nell’economia della città e di tutta la riviera. Gli inizi del Festival, poi, si legano alle vicende di Amilcare Rambaldi, un fioraio sanremese appassionato di musica che sognava di creare un festival della canzone italiana. E la canzone vincitrice della prima edizione, nel 1951, si intitolava proprio Grazie dei fior – “neanche a farlo apposta”, diceva il suo autore, Mario Panzeri – un begin cantato da Nilla Pizzi.

Fa sorridere come, in apparente reazione a questo sdoganamento delle tematiche sociali primarie, dall’idea del vescovo Suetta sia nato il Festival della canzone cristiana, che si terrà a pochi passi dall’Ariston il 3, 4 e 5 febbraio. Ci sarà anche Sgarbi, e il direttore artistico ha pubblicato un comunicato in cui parlava di come la società stia smarrendo i suoi valori umani. Nota positiva di questa storia è che finché si mantiene la laicità dei programmi televisivi statali la radio vaticana può trasmettere ciò che preferisce.

Le problematiche di genere

«Cari amici vicini e lontani, buonasera», Nunzio Filogamo, storico conduttore, salutò così il pubblico alla radio. Come potrebbe dirlo oggi? Come si rende un Car* amic* vicin* e lontan*? In questa edizione del 2022 parteciperanno 16 uomini, 7  donne, un gruppo misto (Highsnob e Hu) e uno queer (La rappresentante di Lista). Nonostante il ruolo marginale, ci sono state diverse donne che hanno segnato Sanremo, e nelle cinque serate del festival ci saranno, a turno, cinque donne: le attrici Ornella Muti, Sabrina Ferilli e Maria Chiara Giannetta, le discusse Lorena Cesarini e Drusilla Foer. Amadeus ha giustificato queste scelte dicendo che «sono partito dall’idea di rendere omaggio al mondo del cinema, delle fiction, del teatro, che avevano sofferto per la pandemia. E, nella scelta dei volti, mi sono affidato alle mie sensazioni», capiamo perché queste sensazioni sono state oggetto di critica. 

Lorena Cesarini, classe 1987, è un’attrice e ha una laurea in storia contemporanea. Famosa per aver fatto parte del cast di Suburra, più e più persone hanno criticato la sua presenza in quanto quota black lives matter, infatti, Lorena è una donna nera italo-senegalese e ci sono stati diversi insulti razzisti a riguardo. Gridare a una mossa del politically correct è meschino e abbastanza insensato. Non è di certo la prima volta che una donna nera è sul palco di Sanremo, dai casi più eclatanti come le esibizioni di Whitney Houston, Tina Turner e Alicia Keys, a quelli meno sensazionali come nel 1986, quando Loredana Bertè cantò Re e si esibì con due ballerine, una ragazza nera a destra e una bianca a sinistra, tutte vestite con mini abiti in pelle firmati da Gianni Versace, e con dei pancioni finti che simulavano delle gravidanze. 

In ogni caso in un Paese normale le quote non dovrebbero essere un problema, e Lorena Cesarini il 2 febbraio sarà a Sanremo proprio per parlare di inclusione. È importante ricordare quanto sia significativa una rappresentazione e una rappresentanza del genere, in quanto sì donna nera italiana, ma anche in quanto attrice il cui personaggio è una sex-worker. 

L’altro caso mediatico riguarda Drusilla Foer, nobildonna toscana alter ego en travesti di Gianluca Lori, attrice e autrice del libro Tu non conosci la vergogna. Non è il primo caso di travestitismo teatrale sul palco di Sanremo se pensiamo che nel 2010 Arisa ha cantato Malamorenò con le Sorelle Marinetti (che si ispiravano alla Sorelle Bandiera degli anni Settanta), un trio di cantanti e attori, e comunque la più ampia cultura drag non è estranea al festival, testimone Conchita Wurst nel 2015. Secondo Simone Pillon, Drusilla non dovrebbe essere “una Signora dell’Ariston”, e sui social chiede «ma sempre in rispetto delle quote, non si potrebbe avere tra i co-presentatori un normale papà (uno eh, non due), e magari di ispirazione conservatrice? Sarebbe un bel segnale, se non altro a tutela delle specie a rischio estinzione televisiva», come se nella televisione italiana non ci fossero uomini conservatori. Certo che Foer è travestitismo, quindi rientra nel camp e nel drag, ma non è la quota gender-inclusive; come fa notare Natalia Aspesi «essendo il personaggio donna in scena ma uomo a casa sua, quindi incluso in sé stesso, quasi quasi una bandiera trans pur non essendo trans. Il giusto pressapochismo tipico di noi italiani». Insomma, Foer non sarà Paolo Poli, ma comunque ancora oggi scandalizza la destra e accontenta, in parte, la sinistra.

Le problematiche di genere rimangono quelle più sentite e temute anche quest’anno, e forse perché Amadeus è sempre quel conduttore che parlando con Francesca Sofia Novello, fidanzata di Valentino Rossi, lodò il suo stare un passo indietro. Dicevamo che Sanremo è lo specchio della società italiana, e lo è anche se parliamo di donne, di rappresentazione e di televisione pubblica. Commenti, giudizi e polemiche sono il fil rouge di come la comunicazione in generale si rapporta alle donne dello spettacolo, che siano artiste, cantanti, presentatrici o co-conduttrici. Ma gli statement che sono stati fatti dalle donne che sono salite sul palco dell’Ariston, e nel Salone delle feste del Casinò prima, sono tantissimi. Ad esempio, la prima vincitrice del festival, Nilla Pizzi, aveva una vocalità che era stata considerata “troppo sensuale” dal regime fascista e per questo venne più volte censurata. In più si era sposata e aveva divorziato due volte, una scelta forte per una nata nel 1919 a Sant'Agata bolognese. Quando vinse la prima edizione aveva da poco ricominciato a cantare pubblicamente, e iniziò l’ascesa che la porterà a diventare la Regina della canzone. Ma pensiamo anche a Siamo donne di Joe Squillo e Sabrina Salerno, che avevano outfit da Euphoria già nel 1991, o a quando Loredana Bertè ha indossato le scarpe rosse per la violenza sulle donne. Di esempi ce ne sono.

Per concludere, polemiche ce ne sono state, ci sono e ce ne saranno ancora. Forse potremmo iniziare a spostare l’attenzione su quelle che non muoiono nel giro di qualche stories, o di qualche puntata da Barbara D’Urso. Ovvero quelle che hanno a che fare con i costi pubblici, con la trasparenza delle dinamiche istituzionali e con le retribuzioni adeguate di chi lavora affinché ci sia un Festival. Se Sanremo rappresenta l’Italia oggi allora facciamoci più attenzione e smettiamo solo di chiederci Dov’è Bugo?.