
Il rapporto tra moda e sex-toys in cinque esempi Come gli oggetti del piacere sono arrivati sulle passerelle
I sex-toys sono totem e tabù, prodotti di design che negli ultimi decenni si sono ritagliati uno spazio nel mondo della comunicazione e nell’alta moda. Nel libro Fashion as Cultural Translation: Signs, Images, Narratives Patrizia Calefato racconta che c’era un tempo in cui moda e pornografia condividevano la stesa visione semiotica del giocattolo sessuale, un momento in cui i sex-toys facevano cenno da una parte all’altra e venivano investiti di una carica simbolica non indifferente. Erano metonimie, rappresentavano la liberazione sessuale, un modo per andare contro il tradizionalismo e la censura. Oggi in parte è ancora così, ma allo stesso tempo i sex-toys si sono sedimentati tra i nostri riferimenti culturali, un po’ a causa della pornografia, un po’ per la corrente sex-positive d’ispirazione femminista. Forse è il momento di dire che l’immaginario è cambiato e ha preso coscienza del fatto che questi oggetti del piacere hanno smesso di essere giochi e sono diventati (ma lo sono sempre stati) oggetti. Anche alcune forme di intrattenimento soft-porno sono state fonti di ispirazione per la moda, pensiamo al burlesque, agli striptease o agli show di lap-dance, e come, ad esempio, siano stati traslati nel 1993 a Parigi da Vivienne Westwood nell’iper-erotica collezione Café Society e, più recentemente, nel secondo show di Savage X Fenty, che ha visto Demi Moore in lingerie circondata da ballerine e calze a rete.
La moda ci ha mostrato quanto la pornografia sia legata al linguaggio e alla comunicazione, nella forma come nella sostanza, e oggi viviamo in un’era che sta riportando in luce tutte quelle inclinazioni sessuali che una volta erano represse da un punto di vista sociale e normativo, grazie sia al porno online, sia all’ascesa del movimento per i diritti LGBTQIA+. Ma questi sex-toys, un tempo rilegati alle sfere devianti, come sono stati usati sulle passerelle?
Versace introduce il BDSM
Il primo grande caso risale alla Fall 1992, quando Gianni Versace presentò Miss S&M. Il titolo dello show era già tutto un programma: si riferiva alle pratiche sadomaso, spesso abbreviate in SM, S/M o S&M. È qui che si forma tutto il sistema di riferimenti che ancora oggi accompagna il nome Versace, come diceva Gianni, «c’è il cowboy americano col barocco europeo»: il tema del bondage, tra cinghie e fibbie, si carica su vestiti in nero, oro e rosso, richiamando un’immagine sessuale aggressiva, giocosa e disruptive, portata all’estremo grazie alle più famose top-model dell’epoca (come Linda Evangelista, Naomi Campbell, Helena Christensen, Claudia Schiffer).
La designer giapponese specializzata in couture latex design, in un’intervista ha detto che secondo lei, prima dell’incontro tra regine (chi del camp chi del Regno Unito), “il latex era molto underground, questo incontro lo ha portato in un contesto più mainstream, ridefinendolo”.
Successivamente, nel corso del decennio, il latex è stato usato sulle passerelle di molti altri brand, da Valentino a Marc Jacobs, da Chanel a Dolce & Gabbana (e di quest’ultimo possiamo ricordare anche il frustino in pelle per lo spanking dell’AW 2007).
A rendere il latex simbolo dei 2000 poi ci hanno pensato le sorelle Kardashian e forse non è un caso che oggi, nel grande ritorno Y2K, si riproponga proprio questo materiale; un esempio tra tutti è l’outfit Balmain coordinato di Kourtney e Kim per la sfilata di Balenciaga del 2020 a Parigi.
Lo streetwear scopre Tenga
A partire dal 2010 il brand giapponese di sex-toys maschili, Tenga, dà il via al progetto Respect Yourself, una campagna per sensibilizzare sull’AIDS e raccogliere fondi per la ricerca medica. Nel dicembre 2012 (l’1 dicembre è infatti la giornata mondiale per la lotta contro l’AIDS) avvia una nuova edizione collaborativa con vari marchi tra cui HUF, brand di skate e streetwear, con cui realizza un’edizione speciale del Vacuum Cup, “FUCK IT”. Allo stesso modo Tenga nel 2017 collabora anche con Anti Social Social Club per una nuova cup.
Sempre in tema streetwear non possiamo non citare la SS21 di Supreme, in cui è stata presentata la t-shirt I’m not sorry con un orsacchiotto con indosso uno strap-on che teneva in mano un frustino.
Da Gucci Orgasmique alla Love Parade
L’ultimo caso è quello di Gucci. Avevamo già parlato di come la maison di moda abbia più volte sfidato il concetto di “genere” e si sia confrontato ripetutamente con la sessualità. Nell’AW 2019 Alessandro Michele ha giocato con dei collari con borchie e aculei, a metà tra il punk, il fetish, e i collari francesi del Settecento, ma ha approfondito anche il tema della difesa attraverso le maschere. Maschere che sì richiamano Eyes Wide Shut e il mondo BDSM, ma approfondiscono anche temi più profondi come quello del «cambiare orientamento sessuale, una delle maschere più difficili da indossare». «La maschera», spiega “Lallo”, «ospita sempre una tensione tra impulsi divergenti: esibizione e nascondimento, manifestazione e protezione, vanità e pudicizia. La maschera è una forma».
Nell’SS20 arriva Gucci Orgasmique, di nuovo con quel latex e quei frustini presenti anche nella collezione “Aria” hacked da Balenciaga per il centesimo anniversario. In quest’ultimo show gli harness in pelle dovevano rifarsi alle origini artigiane di Guccio Gucci, di quando vendeva articoli in pelle “equestri” e, in particolare, selle; ma è stato impossibile evitare i riferimenti sessuali, un po’ perché le pettorine sono da sempre accessori così connotati (e quella di Louis Vuitton, disegnata da Virgil Abloh per Timothée Chalamet ai Golden Globes del 2019, non ha fatto che rafforzare questo immaginario per la GenZ), un po’ perché negli scatti della campagna appare anche una copia di Tre saggi sulla teoria sessuale di Freud.
L’estetica BDSM, e tutto il mondo che comprende, è quella in cui hanno più spazio d’agire gli oggetti del piacere e, allo stesso tempo, è quella che viene più repressa e spostata ai margini della società. La moda negli anni ne ha tirato fuori degli accenni, e si tratta di uno di quei corsi e ricorsi della storia, che ha mosso i primi passi negli anni Settanta con Vivienne Westwood e Mugler, è stata trasformata in arte con gli scatti di Steven Meisel e Helmut Newton, ed è infine entrata nell’alta moda da Helmut Lang in poi.
Ma, come abbiamo notato, questo rapporto del pubblico con la sessualità marginale non è una novità, è un movimento altalenante che attraversa gli ultimi 50 anni, perché – come ha sottolineato Andrea Zanin, scrittrice canadese ed educatrice BDSM – “fondamentalmente il mainstream è sempre stato, e sarà sempre, interessato a cose che si trovano ai suoi limiti” e “continua a riscoprire che il (mondo) kink è quel margine”.