I 5 stemmi che hanno fatto la storia della Serie A negli anni '80 O anche: analisi del passaggio dall'araldica al design minimalista

La recente presentazione del nuovo stemma dell'Inter ha rappresentato un momento importante per il calcio italiano, e non solo. Anche se la nuova brand identity dei nerazzurri non sembra apparentemente segnare una svolta rivoluzionaria nella storia del club, in realtà, il nuovo logo ha lanciato segnali riguardo il futuro del calcio europeo.

Pur presentando soluzioni grafiche figlie dei tempi contemporanei, dominate dalla digitalizzazione, il nuovo stemma dei nerazzurri sposa una ricerca di tratti essenziali in cui a prevalere è l’incastro di forme e superfici più che di volumi. Mirko Borsche - head designer di Bureau Borsche, lo studio tedesco che ha curato il restyling dello stemma dell’Inter - ha spiegato a nss sports che: “100 anni fa le squadre di calcio erano in grado di comunicare per soli 90+ minuti in campo, mentre ora deve farlo 24 ore su 24, 7 giorni su 7 sui social media. Il consumo di contenuti e i relativi requisiti di brand identity sono cambiati".

Il nuovo stemma dell'Inter, dunque, segna una rottura con la ricerca del classicismo e dell'opulenza araldica tipica agli anni a cavallo tra i '00 e i ‘10. Il Manchester City è stato l'epitome di questa transizione: prima con un crest dalle velleità araldiche, poi con il ritorno dal 2016 al logo tondo degli anni ’60, ma reinterpretato in chiave distintamente plastica e digitale.

In uno spartiacque tra futuro e passato della grafica sportiva, inaugurato nel 2017 dalla Juventus, il calcio italiano si sta preparando a nuovi scenari in cui è il marketing a giocare un ruolo fondamentale. L'Udinese, solo poche settimane fa, ha infatti presentato la sua nuova identità grafica che, al pari di nuovi stemmi di Inter e Juventus, sembra salutare un ritorno al minimalismo modernista che fiorì in Serie A tra i '70 e gli' 80.

In anni in cui il rosso del sangue di manifestanti, forze dell’ordine e civili è l’unico colore a brillare per contrasto in una nazione grigia, la svolta rappresentata dagli stemmi della Serie A segna una rivoluzione non solamente cromatica, ma anche psicologica. L’insieme di una serie di concause, tra cui lo sbarco della televisione a colori in Italia e l’apertura agli sponsor tecnici sulle divise che la FIGC ha consentito a partire dalla stagione 1978-79, rappresenta per il calcio italiano una riscoperta tardiva, rispetto all’esplosione di colori della Summer of Love. Sono anni in cui, complice anche il rinnovato peso degli sponsor, il calcio italiano sembra mettersi in pari con la mentalità statunitense di vivere l’estetica sportiva. 

La grafica calcistica, dunque, sembra legarsi senza soluzione di continuità a quella commerciale, dando vita a stemmi che potrebbero simultaneamente essere loghi di brand o elementi dell’identità visiva della commedia all’italiana del periodo. Alleggeriti dal peso di scudi e gonfaloni, gli stemmi diventano elementi grafici a sé stanti, essenziali nei tratti e dunque immediatamente riconoscibili. A fine anni ‘70 inizia così un processo di rinnovamento della grafica sportiva che tutt’ora risulta attuale, come sottolineato da Borsche: “Affinché una squadra di calcio vada oltre i cancelli degli stadi e le partite settimanali, deve presentarsi come un marchio globale. Non solo per essere presenti nella società e nel mondo dello sport ma per emergere nella più ampia sfera del consumo (di beni e contenuti), della comunicazione e diventare una vera e propria società di intrattenimento.”

AS Roma

Non sempre l’iconografia delle squadre ha radici nei gonfaloni cittadini. Ne è un esempio il Bari, il cui galletto è frutto di un’iniziativa giornalistica. Quando nel 1928 il Guerin Sportivo, su idea dell’umorista e illustratore Carlo ‘Carlin’ Bergoglio, decide di dotare le principali squadre italiane di una mascotte, le cosiddette ‘animalie’, il Bari si trova privo di una mascotte identificativa. È il giornalista pugliese Alfredo Bogardo a suggerire ‘i galletti’, allegoria dello spirito combattivo dei biancorossi.

Ma la squadra pugliese non si doterà di un nuovo stemma comunque prima del 1979. Ci ha pensato però la brillante matita di Piero Gratton, il cui galletto barese è un gioiello di modernismo minimalista. Tratti retti e curvilinei si bilanciano in maniera essenziale, restituendo uno degli stemmi più iconici del calcio italiano, nonché l’opera più dinamica del portfolio di Gratton. Il galletto rimarrà sulla maglia del Bari fino al 2014, ad accompagnare prima i trionfi  e poi il crollo della famiglia Matarrese.