La serie A ai tempi del Coronavirus Tifosi, società, giocatori e sponsor. Chi paga le conseguenze delle partite a porte chiuse?

Dopo che il Comitato tecnico scientifico voluto dal premier Giuseppe Conte ed il ministro dello sport Spadafora hanno valutato quale potesse essere la soluzione migliore per affrontare il virus che sta colpendo il Bel Paese, la Federcalcio ha ufficializzato quello che tutti ormai si aspettavano:

Tenuto conto delle disposizioni emanate e delle ulteriori indicazioni ricevute dal Governo per fronteggiare l’emergenza Coronavirus e salvaguardare la salute pubblica, al fine di evitare l’interruzione della competizione sportiva, nonché di assicurarne lo svolgimento e consentirne la conclusione, la Figc ha disposto con apposito provvedimento, fino a nuova determinazione, che si giochino a porte chiuse tutte le gare organizzate dalla Lega Serie A”.

Mentre il turismo è in ginocchio, i locali sono vuoti e le aziende sono costrette a lasciare a casa i dipendenti, il pallone pensa di poter incredibilmente uscire immune dalla crisi. Con la gente chiusa in casa, costretta a non poter uscire nelle zone rosse, il calcio avrebbe dovuto svolgere la sua funzione principale: quella sociale. Le partite trasmesse in chiaro in televisione avrebbero rappresentato un importante momento di svago e 90 minuti di ritorno alla normalità, tenendo incollati al divano milioni di appassionati, contribuendo a dimezzare le occasioni di contagio.

Purtroppo l’emergenza sanitaria non finirà a breve: se il calcio non se ne rende conto, in Italia non si vedrà più rotolare un pallone per mesi. Ed a rimetterci a quel punto non saranno solo i soliti tifosi.