
In Giappone il lusso si compra offline L'importanza della customer care in una società tradizionale
Se la Corea del Sud ha meritato i riflettori del lusso nell'ultimo anno - con grandi marchi come Louis Vuitton, Gucci e Dior che hanno allestito sfilate nella Capitale e vendite record tra la clientela locale - il Giappone ha mantenuto la sua forza in un contesto di rallentamento dell'economia statunitense e di difficile ripresa post-Covid in Cina. In cima alla lista delle destinazioni internazionali preferite, secondo i dati della società di consulenza McKinsey riportati da Vogue Business, il mercato giapponese del lusso è solido e dovrebbe crescere di circa il 4% fino al 2025 sotto la spinta dei consumatori nazionali. Testimoni brand come Burberry, Prada e Richemont, che hanno registrato una forte accelerazione nel Paese nell'ultimo trimestre e vendite in crescita per l'intero anno fiscale 2022, oltre a marchi come Marni e Chanel che proprio sulle performance nipponiche stanno basando le loro strategie a lungo termine. Dati che confermano la ripresa in grande stile di un continente provato dal lockdown ma che sottolineano anche la necessità di un approccio differente sul territorio, soprattutto in termini di customer care e sul territorio giapponese.
Chanel in particolare, che conta già 33 negozi in tutto il Giappone, sta approfondendo la propria fama nipponica. Al defilé della collezione Métiers d'Art 2023 a Tokyo, gli ospiti hanno assistito a uno spettacolo di danza seguita una performance musicale dell'artista senegalese Nix e del chitarrista giapponese Ichika Nito, mentre una masterclass organizzata dal marchio con Tyler Brûlé, presidente e caporedattore di Monocle, è stata resa disponibile per 350 studenti delle principali scuole di moda, arte, design e management. La sfilata secondo il dirigente del brand Bruno Pavlovsky è stata "un modo per celebrare la creatività, non solo nella moda, ma anche nella musica e nella danza" e per quanto riguarda la decisione di riproporre a Tokyo la collezione presentata per la prima volta a Dakar lo scorso dicembre, Pavlovsky ha spiegato che il marchio ha ritenuto che i capi fossero in linea con lo stile "elegante" dei consumatori giapponesi e che c'era il desiderio di stabilire un contatto a livello locale in Asia dopo anni di chiusure.
Il Giappone rappresenta il 23% delle vendite totali anche per Marni. Il marchio di lusso italiano ha aperto il suo primo negozio in Giappone nel 2000 e attualmente conta 25 store sparsi sul territorio (su 96 in tutto a livello globale), tra cui tre outlet e una nuova apertura in arrivo. Secondo l'amministratrice delegata Barbara Calò, l'azienda ha in programma di riqualificare alcuni dei suoi punti vendita esistenti nel Paese, puntando anche sui pop-up per attingere ai consumatori offline. Ecco perché Marni ha ritenuto utile organizzare proprio a Tokyo una sfilata da 2000 invitati lo scorso febbraio, la seconda dopo New York delle quattro passerelle itineranti del marchio di proprietà di OTB, in modo da "avvicinare la visione globale di Marni ai clienti e alla comunità in continua crescita che sostiene e apprezza i nostri prodotti, codici e valori culturali". Perché, sebbene la Corea del Sud per il mercato del lusso sia la nuova terra promessa, il Giappone resta un porto sicuro.