
È arrivata la stagione dell’overshirt Come un capo per natura ambiguo potrebbe diventare il nuovo hot ticket del lusso
Questo maggio in cui la primavera non sembra arrivare sta disorientando un po’ tutti. Anche perché, date le temperature, è fuori questione indossare abiti invernali ma ancora si potrebbe rabbrividire all’ombra e al vento se si indossa solo una t-shirt. La legge del trend imporrebbe l’impiego di un mega-giubbotto di pelle molto rovinato – peccato che grazie a TikTok anche le cose più belle diventano subito basic e adesso un giaccone di pelle lo hanno un po’ tutti. Per sopravvivere al rapidissimo ciclo dei trend, dunque, bisogna ricorrere all’ingegno e trovare un capo che sia tanto classico quanto in grado di anticipare la prossima ondata dei trend. È qui che entra in gioco la overshirt. La definizione di cosa costituisca una overshirt è ambigua, tanto che la si definisce in base a ciò che non è: non è una camicia, né una giacca, tanto per cominciare, anche se può presentarsi in tutti i materiali con cui è composta una giacca. La sua vera caratteristica distintiva, però, è che non può o deve essere infilata nei pantaloni - qualunque camicia che non possa essere infilata nei pantaloni, così come qualunque giacca priva di baveri, fodera e tasche interne ma con un colletto costituisce una overshirt. Sia come sia, intorno all’overshirt si possono costruire guardaroba interi. Il più importante a farlo è stato Alessandro Sartori da Zegna, che ha fatto della overshirt la chiave di volta di una nuova e più rilassata divisa formale per l’uomo facendolo anche indossare al nuovo ambassador globale Mads Mikklesen per il suo primo ritratto ufficiale sotto l'egida del brand - una scelta di certo non casuale. Ma il capo tanto versatile quanto inafferrabile è apparso sulle passerelle di Bottega Veneta, Gucci, Brioni, Our Legacy, Courregès, Givenchy, Louis Vuitton e via dicendo.
In entrambi i casi citati si può intuire che il motivo per cui la è passata sotto i radar dei segugi della moda: la overshirt è già ovunque da almeno due secoli. Figlia di almeno tre diverse madri (ovvero la giacca bleu de travail francese, la pocket shirt dei soldati britannici e la jungle jacket dell’esercito americano), l’overshirt è entrata nell’olimpo dello stile maschile già con Bill Cunningham, il mitico fotografo del The New York Times, e con Paul Newman. Tanto in America che in Asia la overshirt è nata come la divisa dell’uomo comune, ma è diventata la divisa dell’uomo autentico da quando il classico completo è andato associandosi ai “corporate drones” in colletto bianco e agli emuli meno talentuosi di Gianni Agnelli. Il che è anche il concetto enunciato da Sartori per Zegna, quello di “luxury leisurewear”, ovvero abiti estremamente pregiati per un mondo in cui il completo tre pezzi è, se non antiquato, come minimo rigido e poco stimolante. Ma quella di un lusso formale ma non tradizionale che abbandona il grigiore del passato, anche rileggendo il completo in chiave glam oppure oversize, è la direzione che molti stanno seguendo. Se il blazer di pelle rovinata, il giaccone da motocross, lo stivalone con i pantaloncini hanno un inizio e una fine, la overshirt nelle sue molte forme è sempre stata qui e non andrà da nessuna parte. È la sua natura di tela bianca a prestarsi a reinterpretazioni diverse capaci di elevarla al di sopra delle sue umili origini – sia che si tratti di pelle imbottita, che di lino o preziosa vicuña, che di cuoio sottile come carta con stampa trompe-l'œil. E mentre gli altri trend di outerwear si stancano in preda a una frenetica viralità, l’overshirt attende il suo momento con la calma di chi ha già vinto all’insaputa di tutti. Se la sua presenza ricorrente negli show e nelle ultime collezioni primaverili è un indizio, la sua stagione è appena iniziata e non finirà presto.