Rock n'roll, cowboy e quel costante tocco gotico: storia di Number (N)ine Il grunge secondo Takahiro Miyashita

«I vestiti sono a metà tra il rock n'roll, i cowboy e quel costante tocco gotico» è la frase che pronuncia Tim Blanks mentre si muove nel polveroso sottoscala che ospita l'emporio Ebisu di Takahiro Miyashita, l’enfant terrible della moda giapponese che nel lontano 1997 diede vita a Number (N)ine. Una visione scomposta della sartoria che gli ha fatto guadagnare un culto in continua espansione, una passione per l’estetica rock che ha contribuito alla nascita dell’Indie Sleaze, tee ironiche che uniscono estetica mainstream e riferimenti culturali all’appannaggio di pochi: se si dovesse riassumere l’heritage del brand che ha saputo condensare in sé tutto il grunge degli anni ‘90, questi sarebbero i punti chiave. Ma la creatività di Miyashita non si ferma ai momenti virali tornati in auge negli ultimi anni con l'ascesa della moda d'archivio sui social, va oltre il maglione a strisce rosse e nere che riproduce il capo più caro a Kurt Cobain per la AW03 o le bandiere americane e i rosari tipici dello stile di Axl Rose nella SS06. Se Number Nine è ancora oggi, a più di dieci anni dall'addio di Miyashita al brand, l’estrema icona della moda indipendente, i motivi sono tanti.

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Number (N)ine AW03
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Number (N)ine SS06
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Number (N)ine SS06
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Number (N)ine FW07
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Number (N)ine FW07
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Number (N)ine FW07
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Number (N)ine SS06
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Number (N)ine SS08
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Number (N)ine SS08
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Le sue prime collezioni sembravano un'accozzaglia psichedelica: era come se qualcuno avesse frugato nell'armadio di Kurt Cobain tagliando alla cieca, era grunge, credibile ma allo stesso tempo fin troppo confuso. Lentamente, mentre Miyashita assimilava le sue influenze successive, da Bob Dylan al Goth, quella visione eclettica iniziò a cristallizzarsi in qualcosa di decisamente più maturo: blazer squisitamente strutturati, drappeggi sartoriali, gilet, pinces, enormi croci di legno, il sodalizio tra l'onnipresente America e il minimalismo del Sol Levante. Negli ultime anni si aggiunge un grado crescente eleganza vittoriana, al limite dello steam punk, ma, nonostante una spinta verso nuance ben più gioviali, permane una certa tragicità nelle sue creazioni, forse il retaggio delle sue difficoltà mentali, tema costante della sua produzione, con tanto di dedica ai medici curanti sul retro delle tee della SS03: «Esprimo quello che voglio dire nei vestiti. Per me, fare uno spettacolo è il modo migliore per esprimere i miei sentimenti.» 

Evasivo con i giornalisti, aveva l'abitudine di deviare quesiti eccessivamente profondi sul suo processo creativo con una risposta standard - «dovresti chiedere al mio cervello»  - come se le sue creazioni fossero un messaggio trasmesso da un'intelligenza creativa superiore e lui stesso solo l'umile tramite di una volontà ben più grade. Come le rockstar che idolatra, Takahiro Miyashita tutt'oggi offre al pubblico solo le informazioni sufficienti per alimentare, consciamente o inconsciamente, il culto che lo circondo, ma non abbastanza affinché diventi un mistero risolto agli occhi dei fan. Ed è forse per questo che dal 20 febbraio 2010 ad oggi, data in cui Miyashita annunciò che avrebbe lasciato i Number (N)ine nell'anniversario della morte di Kurt Cobain, che la sua eredità continua, anche attraverso il suo attuale marchio TAKAHIROMIYASHITATheSoloist, ma soprattutto tramite l'archivio di un brand che ha saputa cristallizzare l'atmosfera culturale del grunge, di Portland, della moda degli anni '90.