
Cosa resta di questo fashion month? Riflessioni sulla moda vista a Milano e a Parigi
Quando il fashion month finisce mi trovo sempre in uno strano limbo, tra stanchezza e spaesamento, anche se lo spaesamento è spesso più forte. La mezzanotte scocca e la carrozza diventa zucca, il ballo finisce e torniamo tutti a casa un po’ acciaccati, per dirla come farebbe Thom Browne che qualche giorno fa ha trasformato l’Operà di Parigi nel suo regno delle favole tenendoci felicemente in ostaggio per un’ora di show e di abiti che mi hanno fatto pensare «Wow, grazie al mio lavoro sono per la prima volta in vita mia in un posto come questo». Per questo report avrei dovuto scrivere delle mie sensazioni in generale e dei bei vestiti che ho visto durante questo fashion month, ma anche questa volta continuo solo a pensare a questo: a cosa resta della moda. Resta poco, direi, o comunque poco che possieda un reale significato. La maggior parte dell’industria è lì perché deve esserci. Perché all’impolverata aristocrazia della fashion industry tutto questo serve. Purtroppo io non riesco a vederla da questa prospettiva, nè riesco a farmi piacere tutto ciò che mi circonda durante queste settimane. Saranno l’acting cool, le regole, il senso di inadeguatezza che pure tutti ci accomuna che non mi piacciono. Paradossalmente durante quei 20 minuti scarsi di show in cui le luci e la musica si alzano noi spettatori e attori di questa commedia smettiamo di recitare e osserviamo. O almeno così dovrebbe essere. Mi chiedo sempre a quante di quelle persone lì sedute interessa o piace davvero quello che hanno davanti e a quanti invece faccia solo piacere essere lì, a quanti si sentano di esistere davvero solo perché un Ufficio Stampa ricordava il loro nome stendendo la lista degli invitati. Eppure ci sono così tante persone, così tanti ragazzi che farebbero di tutto per essere lì.
Vorrei che ogni fashion week sia solo arte poesia e musica, un po’ come è stato lo show di Issey Miyake a Parigi, coi suoi ballerini, le note di piano di Koko Nakano, l’eleganza di quei movimenti. Ma forse sono solo sensibile al bello e mi piace il pensiero di commuovermi durante gli show, mentre viviamo ancora in un mondo di bruti che si alzano e scappano via ancor prima che il direttore creativo esca fuori a salutare. Ma è un mondo veloce e si rischia di perdere il prossimo show.