La moda maschile si interesserà mai alla body positivity? Una rappresentazione reale ed eterogenea dei corpi sembra ancora un miraggio (e un tabù) per il menswear

Al termine di ogni Fashion Week è consuetudine fare un bilancio di ciò che si è visto in passerella, i trend, le collaborazioni, le idee, le modelle. Si fa il conto di quante top model plus-size, mid-size e tutto ciò che sta nel mezzo ci fossero, quante avessero più di 35 anni, quante fossero più alte o più basse della media, in uno scrutinio di corpi che non lascia scampo, e che riguarda solo il corpo delle donne. Sì, perché se la stessa operazione si dovesse svolgere per le sfilate di menswear i calcoli sarebbero molto veloci. Sono queste le contraddizioni di un'industria ben abituata a giudicare, che dopo l'avvento del movimento della body positivity - che di vittorie non ne ha ancora portate a casa tantissime - ha imparato ad utilizzare corpi non conformi per lanciare messaggi ben precisi, o per mirate campagne di marketing. Perché lo stesso non accade nella moda maschile? 

Sunnei FW22

Forse perché secondo molti il problema nemmeno esiste. Dopo la sfilata di Valentino Haute Couture dello scorso gennaio, incensata per l'ampia rappresentazione del corpo femminile, Pierpaolo Piccioli aveva scritto così su Instagram: "La verità è che gli uomini non hanno mai dovuto accettare nessun tipo di stereotipo fisico, l'unica ossessione della moda nei loro confronti riguardava l'età e l'ageismo". È vero, gli uomini non sono stati sottoposti alla stessa pressione, alle stesse aspettative e agli stessi stereotipi delle donne, ma anche loro hanno subito l'indottrinamento di canoni estetici spesso irraggiungibili, parte di una narrazione unilaterale, che non lasciava spazio ad altre voci. Riviste come Men's Health, Maxim, o lo stesso People, che decreta ancora ogni anno l'uomo più sexy del mondo, hanno contribuito alla formazione di un ideale di mascolinità muscolare, ultra tonica, in cui il corpo era il centro dell'universo, e per questo doveva essere allenato, curato, in grado di sedurre. Non si può dire che questo non abbia lasciato un segno. 

Ma perché è così difficile? Agli uomini davvero non interessa rivedersi in modelli con la loro stessa fisicità? Non è importante identificarsi, sentirsi rappresentati, non è più piacevole comprare un capo che è stato pensato per un corpo come il tuo? O sono istanze ritenute imbarazzanti, inammissibili, vanesi desideri appannaggio del solo pubblico femminile? 

Al di là del price point e in generale dell'estetica che rappresenta, non è un caso che intere generazioni si siano appassionate e abbiano vestito principalmente streetwear. Da una parte il mondo della moda propugnava modelli di corpi muscolosi, scolpiti, manifesto per eccellenza di una mascolinità dichiarata, come gli uomini di Tom Ford, Dolce & Gabbana, DSquared2; dall'altra proponeva fisici esili, filiformi, quasi asessuati, altrettanto irraggiungibili, come le discusse silhouette di Hedi Slimane. L'abbigliamento streetwear era ed è largo, oversized, rilassato, per tutti, nasconde quando deve, mostra quando vuole, regalando un innegabile comfort a chi lo indossa. Lo streetwear ha portato la body positivity nella pratica prima che nella rappresentazione. Non sorprende allora che per la sua ultima campagna Aimé Leon Dore abbia scelto come testimonial sì friends & family del brand, ma senza distinzioni di taglie e corpi, e questa è una scelta che alla lunga farà la differenza.

Probabilmente la questione della body positivity nel menswear prenderà davvero piede solo quando il pubblico maschile avvertirà e darà voce al desiderio di rappresentazione di ogni taglia e fisicità, ma sarà un processo lungo e tortuoso. Ma, in fin dei conti, ne potrebbe valere la pena.