
L’appeal infinito della canottiera Ruvida divisa dell’uomo comune o capo più sexy di sempre?
La canottiera di cui si è discusso di più, in Italia, all’inizio dell’anno è stata quella di Giovanni Truppi a Sanremo che, rispondendo ad Amadeus che gli domandava perché la indossasse, ha raccontato di come proprio la canottiera fosse la sua divisa da palcoscenico sin dai suoi esordi. Ma in realtà di canottiere, fuori dal palco di Sanremo e sulle passerelle se ne sono viste molte durante le ultime Milan Fashion Week: da quelle in versione luxury di Prada e Bottega Veneta, a quelle usate come elemento di layering viste da Gucci e Sunnei, passando per le versioni sperimentali di Diesel, Ambush, MSGM, MM6 Maison Margiela. In tempi di moda genderless, di sdoganamento della sexyness e (perché no) di famelico narcisismo istituzionalizzato la canottiera è diventata una tela bianca per raccontare il corpo e le identità maschili e femminili sotto nuove e più ricche prospettive da parte di molti designer che ne hanno di volta in volta scavato le diverse sfaccettature culturali portandola sempre più lontana dalla sua esistenza originaria di umile capo di underwear.
La cosa che sorprende di più sulla vicenda culturale della “canotta”, però, è che se molti dei capi nati come simboli delle controculture appaiono oggi normalissimi, la canottiera ha mantenuto ancora oggi una connotazione così forte che vederla indosso a un cantante di Sanremo fa più sensazione che la camicia trasparente di Blanco o i torsi nudi di cantanti come Achille Lauro, i Maneskin o Rkomi. Secondo Wilde per ottenere considerazione bisogna divertire il pubblico o scandalizzarlo – un po’ come la canotta di Giovanni Truppi. Una giacca da biker, una t-shirt bianca o una tinta ai capelli, dopo tutto, oggi non scandalizzano più nessuno.