Perché il futuro della sneaker culture si scrive in Cina? La crescita di Li-Ning e Anta potrebbe minacciare l'egemonia di adidas e Nike

Non importa quanta storia abbiano già scritto alle spalle: la supremazia di adidas e Nike nella sneaker culture cinese potrebbe star giungendo al termine. Stando a quanto riportato da Jing Daily quest’anno, il valore di mercato del brand cinese Anta è già pari a 64 miliardi di dollari. Che, a paragone con i 74,37 miliardi di dollari corrispondenti al valore di mercato di adidas, lascia presupporre quanto terreno abbia rapidamente guadagnato il marchio Made in China, in aggiunta, i problemi causati dalla pandemia alla supply chain dell’industria delle sneaker uniti alle politiche della Cina stanno cambiando gli equilibri mondiali consolidati per secoli. La rapidità con cui la Cina si muove nelle sue strategie di sviluppo è indiscutibile. Anzi, quasi sconvolgente se consideriamo che tra adidas, Nike e i due competitor cinesi Anta e Li-Ning, passa quasi mezzo secolo di storia. Mentre nel 1949 Adolf Dassler fondava adidas e 15 anni più tardi Bill Bowerman fondava Nike con il nome di Blue Ribbon Sports, la Cina stava per entrare in quello che è rimasto alla storia come il cruento decennio della Rivoluzione Culturale di Mao Zedong (1966-1976). Come spiega Juanjuan Wu in Chinese Fashion: From Mao to Now, “la moda non fu soppressa durante la Rivoluzione Culturale. Adottò però una maschera differente, non certamente dipinta di colori vibranti”. La stretta di potere dell’allora leader del Partito Comunista Cinese guidò tacitamente il popolo verso la cosiddetta pǔsù 朴素, la sobrietà. Lontano dal mondo occidentale – dove Nike e adidas sperimentavano senza sosta colori e materiali innovativi da associare alle performance tecniche degli atleti – la Cina faceva invece i conti con ciò che poteva e non poteva indossare.

Scarpe della Liberazione
Scarpe della Liberazione
Scarpe della Liberazione
Deng Xiaoping negli USA
Deng Xiaoping negli USA
Mao Zedong
Mao Zedong
Mao Zedong
Il team cinese alle Olimpiadi di Tokyo
Il team cinese alle Olimpiadi di Tokyo
Il team cinese alle Olimpiadi di Tokyo
Xi Jinping
Soulland x Li-Ning
Soulland x Li-Ning
Soulland x Li-Ning
Soulland x Li-Ning
Li-Ning & Erik Ellington
Li-Ning & Erik Ellington
Li-Ning & Erik Ellington
Li-Ning & Erik Ellington
Li-Ning A/W 21
Li-Ning A/W 21
Li-Ning A/W 21
Li-Ning A/W 21
Li-Ning A/W 21
Li-Ning A/W 21
Li-Ning A/W 21
Li-Ning A/W 21
Li-Ning A/W 21
Li-Ning A/W 21
Li-Ning A/W 21
Li-Ning A/W 21
Li-Ning A/W 21
Li-Ning A/W 21
Li-Ning A/W 21

Infine, a svantaggio delle vendite di Nike e adidas in Cina (ma anche di molte altre case di moda) c’è recentemente stato un fattore politico: la protesta sul cotone proveniente dalla regione dello XinJiang. La denuncia che i media occidentali hanno esposto lo scorso marzo contro la Cina fa leva sul lavoro forzato a cui sarebbe sottoposta la minoranza etnica degli Uiguri che lavora appunto nei campi di cotone nello XinJiang. E proprio perché è “difficile scoprire la verità” (citando il titolo di Mimi Lau per South China Morning Post), molte aziende occidentali hanno smesso di acquistare cotone cinese proveniente da tale zona. Di rimando, i cinesi hanno boicottato i marchi occidentali, Nike e adidas inclusi. La conseguenza ovvia? Jing Daily conferma che il profitto di Li-Ning è aumentato del 4,2% (quantificabile in 2,2 miliardi di dollari). Una preferenza non casuale, motivata senz’altro dal desiderio di indossare brand Made in China specchio di valori patriottici e nazionalisti. Una preferenza che chiude il cerchio e conferma la tesi: e se il futuro della sneaker culture si scrivesse proprio in Cina?