
Come Zara si è appropriata del linguaggio del lusso E ha hackerato la formula del fast fashion
Del fast fashion è stato detto tutto il male possibile negli ultimi anni: che è poco sostenibile, che sfrutta i lavoratori dei paesi a economia emergente, che copia il lavoro delle case di moda, che è il frutto peggiore del consumismo. A queste accuse se ne può aggiungere un’altra, mossa in origine da @_whereisthecool_magazine nelle sue storie di Instagram: il fast fashion sta iniziando ad appropriarsi del linguaggio visuale e verbale del luxury fashion. Qualche giorno fa, infatti, Zara ha pubblicato la nuova campagna womanswear denominata “après-vacances”, un termine-pastiche che sembra ricalcare la terminologia delle collezioni intermedie della moda come Pre-Fall, Resort, Cruise, Après-Ski e via dicendo.
La campagna, presente sull’account Instagram del brand, che mostra le modelle uscire da un aereo in una serie di outfit smart-chic, richiama tanto i famosi airport looks delle star anni ’90, quanto famosi show a tema aeroportuale come la collezione Resort 2020 e la Pre-Fall 2021 di Louis Vuitton, la collezione SS16 di Chanel e la FW21 di Balmain ma anche campagne di Fendi e Michael Kors. Scorrendo la pagina Instagram di Zara si notano inoltre calchi di svariate campagne di Bottega Veneta, uno shooting sulle Dolomiti che sembra ripreso da The North Face x Gucci oltre che una campagna ad Amalfi che richiama un mood a metà fra Dolce & Gabbana e Jacquemus e una campagna per i cosmetici che ricalca lo stile VHS del nuovo Givenchy.
Parlare come la moda per essere come la moda
Il business model di Zara è un business model vincente. Ed è logico che il brand si sia riposizionato, anche esteticamente, sul livello dell’high street considerata la fioritura internazionale di altri brand di fast fashion che hanno saturato le fasce del mercato occupate in precedenza proprio da Zara – che adesso vuole proporsi come alternativa intermedia fra l’evidente cheapness di brand come Shein e i costi di un’industria del lusso che, dopo il lockdown, è diventata se possibile ancora più esosa e irraggiungibile. Grazie al trend forecasting, a una ingegnosa organizzazione dell’inventario e soprattutto grazie alla rinnovata cura posta nella cura dell’estetica e dell’immagine, Zara è arrivato infatti ad hackerare la formula del fast fashion, riempiendo quel gap nella fascia medio-alta dei consumi e differenziandosi con decisione dai suoi competitor.
Allo stesso tempo, se Zara imita l’esteriorità della moda di lusso, la moda di lusso imita l’organizzazione logistica e distribuitiva di Zara con uno shift verso il commercio direct-to-consumer, un abbandono delle stagioni spezzettate in vari drop mensili e una crescente attenzione al gusto della massa. La moda di lusso è in una fase di “zarificazione” in cui, pur sotto le insegne del design, ogni brand deve produrre un po’ di tutto, un fenomeno molto evidente nel settore calzature che ha visto una valanga di slippers di gomma brandizzata riversarsi sui mercati e che, sulle pagine di Business of Fashion, Liroy Choufan definiva l’anno scorso la “sindrome di Stan Smith”:
«Marchi e designer rinomati hanno inondato le loro collezioni con versioni quasi identiche di item di successo come la famosa sneaker Stan Smith di Adidas. [...] Lo stesso vale per molti altri stili – dai sosia degli stivali da trekking ai parka […]. Il business iniziato 150 anni fa come haute couture, e che in seguito è rinato come prêt-à-porter, è stata ricostruito per offrire fast fashion di lusso per le masse».