
Le scarpe stanno diventando sempre più "brutte"? Da sneaker ciclopiche ai mule pelosi, lo strano è diventato il nuovo bello
Il trend delle cosiddette “ugly shoes” è forse uno dei più longevi della moda contemporanea. Guardando il footwear visto nelle principali sfilate, infatti, si nota che il footwear è andato sempre più allontanandosi dalle convenzioni e dalla tradizione classica: dalle scarpe piumose di Bottega Veneta, passando per le slide di JW Anderson sormontate da gargantuesche catene d’oro e per il variopinto ed eccessivo footwear di Gucci e Marni fino ad arrivare ai carrarmati di Prada e Rick Owens, pare quasi che la nuova regola sia diventata la sproporzione, il barocco, la stranezza. Tutte caratteristiche sottolineate da Jacob Gallagher in un recente articolo su WSJ e legate alla psicologia del mercato, come la psicologa Carolyn Mair disse a Vogue qualche anno fa, a proposito delle sneaker di Balenciaga e delle sculture delle stesse create da Diana Rojas:
«Gli psicologi hanno stabilito che non prestiamo attenzione a ciò che è "normale", usuale o familiare perché non presenta alcun pericolo. Tuttavia, quando incontriamo qualcosa di nuovo, la nostra attenzione è attirata su di esso. Quindi, oltre al comfort e al valore utilitaristico di queste scarpe, forse è il desiderio di attenzione che motiva chi lo indossa».
Persino i brand più minimal, infatti, non hanno ricalcato anonimamente la tradizione, ma hanno recuperato l’idea della dad shoe, elevandola e rendendola anch’essa il significante di un’identità, di un’appartenenza sociale improntata alla cleanliness, alla sobrietà di forme e colori e, per certi versi, alla nostalgia verso un passato recente ma anche meno caotico. In questo senso il lavoro di Justin Saunders con JJJJound è indicativo: la sua ultima collaborazione con Padmore & Barnes è una stringata di pelle nera volutamente demodé, ma proprio per questo eloquente come statement d’estetica. Lo stesso si potrebbe dire delle recenti collaborazioni del designer e curator canadese con Vans e Dr. Martens oltre che di sue release personali come un paio di stivali da trekking in suede, ma anche una miscela di caffè, occhiali da lettura e un set di palline per asciugatrice – tutti oggetti che dieci anni fa avremmo trovato a casa di un hipster, tanto prevedibili, analogici e tradizionali da sfociare nel quirky, che testimoniano però l’allineamento e l’aderenza a un lifestyle e, dunque, che dicono qualcosa di chi le sceglie.
In nessuno dei due casi, comunque, si riesce a sfuggire dalla dinamica che sta portando il footwear contemporaneo a diventare sempre più “brutto” – nel senso di eccentrico, di bizzarro, di originale. Persino le tradizionali, morbidissime scarpe di JJJJound sono, a proprio modo, eccentriche rispetto alla basicness dei modelli originari; persino i gettonatissimi Boston Clog di Birkenstock, che fino a qualche anno fa si sarebbero visti solo in un circolo di bocce, oggi vengono co-firmati da Stussy e Jil Sander e sono diventati indicativi di un’inclinazione, un’identità. Bisognerebbe dunque forse parlare di un’evoluzione verso l’alto dell’idea stessa di footwear, passato da strumento sociale differenziato per destinazioni d’uso (la scarpa da palestra, quella per uscire, quella per l’ufficio e via dicendo) a fenomeno commercial-culturale e segno di appartenenza sociale.