
New Brand Journalism: come sta cambiando il branded content nell’industria della moda? I brand tornano editori, aggiungendo un’isola al proprio ecosistema digitale
Branded content marketing, native advertising, sponsored content. Sono state queste le keywords dell’editoria digitale negli ultimi dieci anni: definizioni varie che hanno riempiono la bocca e quaderni degli appunti di account, brand strategist e social media manager. Spinti dal motto “Every Company is a Media Company”, l’industria della moda e i relativi magazine di settori furono i primi a sperimentare questo meccanismo che nella sua essenza era un win-win per entrambe le parti: i brand entravano in contatto diretto con un audience desiderata in modo rapido diretto e impiegando risorse in maniera più efficiente mentre magazine e influencer riuscivano a rendere sostenibile un business model che fino a quel momento non riusciva a monetizzare la presenza e reputazione online.
Oggi questo modello che ha retto l'industria dell'editoria di settore è giunto ad un punto di svolta, sia per i magazine che per i brand. Da un lato l'indipendenza della stampa è stata erosa a tal punto che molti magazine sono diventati meri contenitori per pubblicità o articoli sponsorizzati, dall'altro i brand hanno recuperato il gap di expertise nella comunicazione e in molti stanno iniziando a creare dei magazine in-house per i contenuti editoriali. Issued by Bottega Veneta è solo l'ultimo caso di magazine realizzato in-house in aperta sfida ai social e ai relativi competitor indipendenti. Si può parlare di un nuovo trend- il new brand journalism - portato avanti da pubblicazione come Gucci Stories, Lifewear by Uniqlo, magazine by Louis Vuitton che completano - insieme ai social e all'e-commerce - l’ecosistema digitale di un brand. Si tratta di una naturale evoluzione per l’industria del fashion, in un momento storico in cui i brand sono prima produttori di valori e poi di vestiti e sentono il bisogno di avere spazi digitali meno restrittivi di un profilo Instagram o del proprio e-commerce dove poter mostrare il dietro le quinte del brand, ma che riprende un trend già visto: quello dei brand editori.
Anche a livello creativo il branded content influenzò l’industria della moda: crebbe il potere in mano alle agenzie indipendenti specializzate in cool hunting che facilitarono l’emersione di giovani creators. Dall’altra parte i critici sottolineano come fu un altro degli elementi che contribuirono l'omogeneizzazione culturale del gusto all’interno dell’industria della moda. In aggiunta con il passare del tempo gli utenti si accorgono di un post sponsorizzato, facendo calare il grado di engagement, un’indagine ha rilevato che, solo tra il 2011 e 2016, il numero medio di post pubblicati ogni mese dai brand sui loro siti o blog aziendali era aumentato dell’800%, mentre il numero medio di interazioni medie per post, al contrario, diminuito dell’89%.
Il nuovo trend: il new brand journalism
Negli ultimi cinque anni l’industria creativa e quella della moda sono cambiate profondamente. Grazie alle trasformazioni avvenute nell’industria e al lavoro di collegamento di molti magazine, il gap di comunicazione che c’era dieci anni fa tra pubblico e brand si è ridotto drasticamente. L’esigenza è di comunicare direttamente con il pubblico, portando i branded content che atterrano sui magazine all’interno di un proprio spazio digitale, il cui nome è ancora da definire (brandzine potrebbe essere, ok).
Entrambi gli approcci sembrano però seguire l’impostazione di SSENSE o Mr Porter, entrambi magazine di ecommerce che hanno avuto il boom negli ultimi. L’obiettivo per le neonate brandzine è quello di offrire un contenuto di qualità ma soprattutto rilevante per gli utenti, evitando di sovrapporsi con il lavoro dei magazine indipendenti, che allo stesso tempo devono cambiare pelle, evolvendosi da cool hunter a curatori, selezionando ogni giorno i trend e i fatti più rilevanti non rimanendo solo nel campo della moda ma seguendo il principio della cross-settorialità.