Come è andata la seconda Milan Fashion Week digitale C’è poca esuberanza, ma il format virtuale non è il responsabile

Si conclude oggi la seconda edizione digitale della Milano Fashion Week (durata in realtà solo cinque giorni), passata in relativa sordina, con un calendario in parte sguarnito dei nomi eclatanti di Gucci, Bottega Veneta, Versace, Marni e Giorgio Armani; in parte ancora difeso da campioni come Prada, Fendi, Sunnei, Ermenegildo Zegna, Etro, MSGM e Tod’s. Senza pubblico, senza eventi a margine e senza la ressa di influencer, editor, buyer e fotografi che di solito anima la settimana, quest’edizione è apparsa sotto tono. La moda che ha sfilato sugli schermi e sulle passerelle digitali è stata segno dei tempi: molto pratica e pragmatica ma poco sognante. Anche le collezioni migliori (e ce ne sono state, sia dei grandi brand che dei designer “minori”) hanno avuto pochi guizzi – con l’outing più riuscito che è stato senza dubbio quello di Ermenegildo Zegna, capace di ridefinire i paradigmi dell’eleganza classica proponendo una visione quietamente rivoluzionaria grazie a una non indifferente dose di tecnicismo, qualità che invece ha scarseggiato in molte altre collezioni. 


I big player

Ermenegildo Zegna FW21
Prada FW21
Fendi FW21
Etro FW21
Tod's FW21
Sunnei FW21
A-COLD-WALL* FW21
Magliano FW21
MSGM FW21
Dhruv Kapoor FW21
Solid Homme FW21
David Catalan FW21
Tokyo James FW21
Lagos Space Programme FW21

A mancare in questa settimana della moda oltre al pubblico live sono stati il tecnicismo e il drama, la capacità di immaginare un oggetto speciale, di prendere in mano i tessuti e ricombinarli per creare capi bellissimi, anti convenzionali e preziosi. Va sempre e comunque sottolineata la difficoltà di creare una collezione di questi tempi, con tutti gli ostacoli che le restrizioni anti-contagio pongono davanti ai creativi. Vero è anche che i tempi non lasciano troppo spazio ai sogni dorati, ma con designer inglesi e francesi che debuttano sulla scena giovanissimi e praticamente già completi in tutto (tre nomi a caso, Maximillian Davis, Harris Reed e Charles De Vilmorin) è difficile capire come l’immaginazione milanese non sappia decollare come dovrebbe.