Le campagne di moda in quarantena sono tutte uguali? Un trend che ha fatto presto a mostrare i propri limiti

Se c’è un genere fotografico che la quarantena ha fatto prosperare è quello dell’autoscatto. Gli ultimi anni, del resto, avevano visto la nascita e l’ascesa del selfie – ascesa parallela a quella a della telefonia mobile – che, in una puntata di The OC, Paris Hilton aveva profeticamente definito “l’autografo del ventunesimo secolo”.  Ma se nel mondo pre-quarantena il selfie era considerato al più una manifestazione di narcisismo e leggerezza, il lockdown lo ha reso l’unico tipo di fotografia possibile. Senza set, senza stylist, senza truccatori e, soprattutto, senza fotografi professionali, tutti quegli individui, quelle riviste e quei brand che sopravvivono e si promuovono tramite la moltiplicazione e diffusione di immagini si sono trovate costrette ad arrangiarsi con i mezzi che avevano a disposizione: cellulari e webcam

É bastato poco perché il format dello shooting DIY mostrasse la corda. Nonostante gli sforzi fatti dai brand, si direbbe che, venuti meno i fattori della novità e dell’immediata attualità, questi shooting non abbiano molta ragione d’essere - non fosse altro che per la loro ripetitività. Il trend, dopotutto, non è nato per durare ma per adattarsi a un’emergenza - terminata una, sparirà anche l’altro. All’inizio però il concept funzionava: quelle immagini un po’ sgranate dei glitterati chiusi in casa propria erano una piacevole deviazione dai soliti, artefatti servizi fotografici. Tutt’al più, allora, il trend ha palesemente mostrato quanto la moda sia rimasta ferma alle proprie dinamiche di sempre: produrre il maggior numero di contenuto possibile e provare a rimanere rilevante con ogni mezzo a disposizione. Rimane da vedere se il pubblico che emergerà dall’esperienza del Covid-19 sarà ancora legato a quelle stesse dinamiche o aiuterà l’industria della moda ad attuare quei grandi cambiamenti strutturali invocati da molti dei suoi maggiori esponenti.