
Il 25% dei negozi a Milano è a rischio chiusura Secondo Confcommercio, il settore moda è il secondo più colpito dopo quello dei trasporti
La pandemia di coronavirus ha colpito il nord più duramente del previsto, cogliendo impreparate le sue istituzioni e gettando i settori commerciali e industriali nel caos. A essere particolarmente danneggiata è stata la città di Milano, epicentro europeo della pandemia, che da centro nevralgico dell’economia nazionale e finestra dell’Italia sul continente ha visto arrestata la propria ascesa che, iniziata con l’Expo 2015, avrebbe dovuto culminare con le Olimpiadi Invernali a Cortina nel 2026. Stando alle più recenti stime di Confcommercio, infatti, rese pubbliche di recente dal segretario generale Marco Barbieri, il 25% dei retail milanesi potrebbe non riaprire più alla fine della pandemia – circa 3700 imprese in totale. Lo scorso lunedì, inoltre, l’ISTAT aveva dichiarato che la produzione industriale del paese era crollata del 29,3% - il calo su base annua più pesante da quando l’ISTAT ha iniziato a raccogliere i propri dati, nel 1990.
Le attività coinvolte nel lockdown fra Milano e provincia sono 22.700, per lo più ristoranti ma anche negozi di abbigliamento, di arredamento e gioiellerie. Le attività più a rischio, oltre a quelle del settore food & drinks, sono legate al turismo e all’intrattenimento – un’enorme serie di alberghi, cinema e teatri, tour operator e agenzie di viaggi. Secondo Barbieri le principali problematiche sono legate al ritardo nella distribuzione di fondi e di proroghe della tassazione e nel rallentamento dei guadagni causato dalle norme di distanziamento sociale:
“Abbiamo fatto un’indagine su 2mila imprese e quasi tutte, a 3 mesi dall’inizio dell’emergenza, aspettano ancora i soldi sia sotto forma di finanziamenti bancari sia di ammortizzatori sociali. L’82 per cento vorrebbe riaprire, ma di questi il 70 per cento sa che i ricavi saranno minori dei costi. Insomma, ripartenza sì ma col freno a mano tirato.”