
Storie di ordinaria follia dal mondo della moda milanese Alcuni giovani creativi ci hanno raccontato che persone orribili siano i loro boss
Conosciamo tutti la storia dietro il celebre ruolo di Meryl Streep ne Il Diavolo Veste Prada. Col passare del tempo il film è diventato una vera miniera di meme e Miranda Priestly è assurta a simbolo di quanto riesca a essere orribile un datore di lavoro nel campo della moda. Si dice in effetti che il film sia basato sulla caporedattrice di Vogue America, Anna Wintour - e il personaggio di Miranda Priestly è presto diventato un elemento ambivalente per chi lavora nella moda: da un lato il suo personaggio è umoristico, la parodia perfetta di un'autorità nel settore del fashion; dall'altro è diventata la rappresentazione anche troppo realistica di tutti quei boss che spadroneggiano nel mondo della moda, rovinando la vita ai propri stagisti e sottoposti.
A Milano, boss terribili quanto e più di Miranda Priestly abbondano, e forse in misura maggiore che altrove. Per questo abbiamo contattato alcuni giovani creativi del settore per farci raccontare le loro storie più spaventose e tutti gli episodi in cui hanno sofferto a causa di un capo sfruttatore, avido o semplicemente stronzissimo.
Tutti i nomi che verranno usate negli articoli sono di fantasia.
La vampira che non paga gli stipendi
“Il tempo che ho passato a lavorare per un datore di lavoro terribile è stato un vortice di tossicità passato giorno dopo giorno ad assistere all'abuso verbale degli assistenti, al fat-shaming di potenziali giovani stagiste e alla costante manipolazione emotiva di tutte le persone che circondavano la mia superiore. Per piegare i suoi sottoposti alla completa obbedienza minacciava di rovinare la nostra reputazione e distruggere le nostre future carriere qui a Milano. Quando sono andato via di lì, sono rinato. Inseguire per mesi una donna come lei per ricevere uno stipendio - una che in quanto donna bianca si sente autorizzata a usare la parola "N***o" e dire che "Nessuno vuole che le donne transgender facciano pubblicità alle donne vere"; qualcuno che cerca di prendersi il merito per qualsiasi cosa tu faccia da solo e schiaccia l'autostima tua e degli altri per avanzare e poi si reinventa come attivista non è una persona che vedo nel mio futuro come parte del progresso e del cambiamento “.
- Louis Pisano, scrittore
Il lato più assurdo di questa situazione è che molti di questi atteggiamenti non sono punibili per legge in quanto l'abuso emotivo non è un reato. Secondo lo studio legale Scott Wagner & Associates, per parlare di abuso sul posto di lavoro, bisogna essere membri di una qualche minoranza oltre che dimostrare di essere stato vittima di atteggiamenti basati su appartenenza etnica, aspetto fisico, religione, sesso, età o disabilità. E molti di questi incidenti si sono verificati al di fuori di questi confini.
Al momento, lo strumento più potente che le vittime di questo tipo di situazioni hanno è l'uso dei social media. Sebbene le cose stiano lentamente migliorando, ci vorrà ancora un po' prima che la classe dirigente dell'industria della moda adotti comportamenti più umani e abbandoni il proprio falso senso di superiorità. Con questa nuova era di trasparenza digitale, molti hanno l'opportunità di denunciare queste situazioni e fare pagare ai propri maltrattatori le conseguenze del loro abuso nascosto. La realtà è che la moda ha bisogno di un sistema che supporti meglio e garantisca la sicurezza dei suoi lavoratori più giovani, eliminando ogni possibilità di sfruttamento, non solo emotivo, ma anche fisico e finanziario.