
Cos’è sopravvissuto nella moda dello stile di Kill Bill? A sedici anni dal suo arrivo sugli schermi, il film-fiume di Tarantino è una masterclass di stile
Tra tutti i film di Quentin Tarantino ce n’è uno che ha segnato l’immaginario collettivo più di ogni altro: Kill Bill. Al di là dei suoi meriti cinematografici, Kill Bill è rimasto memorabile per i suoi personaggi la cui identità, come spesso capita nel cinema di Tarantino, è fortemente definita dai loro costumi. Il lavoro delle due costumiste, Catherine Marie Thomas e Kumiko Ogawa, è stato infatti “doppio”: ogni costume rappresentava una chiave di lettura dei personaggi e una citazione cinematografica. È proprio per questo che il costume design di Kill Bill rimane un unicum in tutta la filmografia di Tarantino: gli abiti sono i protagonisti di certe scene tanto quanto gli attori e la storia che hanno dietro fa parte integrante dell’anima citazionista del film. Nei suoi momenti più salienti, l’estetica di Kill Bill può fornire chiavi di lettura per interpretare e contestualizzare alcuni aspetti dell’estetica del decennio che sta per concludersi.
Ma qui si pone un’altra domanda: è il film che ispira la moda o la moda che ispira il film? È come il dilemma dell’uovo e della gallina e la risposta è molto più complessa di quanto potrebbe sembrare. Tarantino è un uomo innamorato del passato: quasi ogni costume è il riferimento a questo o quel film, a questa o quella sottocultura. Gli outfit presenti nei suoi film risultano così iconici perché sono pensati dal loro creatore e dai costumisti per esprimere chiaramente una personalità, veicolare impressioni mentali. Kill Bill si svolge in un’epoca indefinita, in cui il sobborgo americano dei nostri giorni convive con gli antichi samurai, un mondo in cui la cultura digitale non esiste e che allo stesso tempo prende ispirazione da un cinema vecchio di vent’anni. L’eclettismo dei riferimenti è ciò che rende i suoi personaggi così iconici, le sue icone non sono che rielaborazioni di altre icone.