La moda, i meme e tutto il resto: intervista a Pietro Terzini L’artista visuale ci ha parlato di creatività, del mondo digitale e di come i bar siano l’ultimo baluardo della cultura

Semplicità e ironia sono le due principali caratteristiche dell’arte di Pietro Terzini. I suoi slogan scritti come graffiti sui packaging e sui loghi dei più celebri brand di moda, tutti pubblicati sulla sua pagina @friday.fries, sono diffusi un po’ ovunque su Instagram – specialmente un fotomontaggio che ha per protagonista la boutique di Hermès in Via della Spiga che possiede al momento 40.600 likes solo nella sua pagina originale e chissà quanti repost.

Il tuo post di Hermès che è diventato virale sembrava un’installazione site-specific ma era tutto digitale. Una dimostrazione di come in realtà l’arte può essere o diventare tutto, o essere applicata su tutto – tu fra l’altro decori coi tuoi artwork anche le tue scarpe. Credi che l’arte dei nostri tempi si muoverà in questa direzione in futuro? E cioè che diventerà sempre più una “firma” o “patina d’autore” da declinare in diversi linguaggi e su diversi supporti, fisici e non, proprio come i loghi su cui fai ironia?

In realtà oggi l’arte mainstream è già questo. Pensa a Kaws, Takashi Murakami o Damien Hirst. Gli elementi grafici più pop che sono alla base loro immaginario sono talmente forti da poter customizzare qualsiasi cosa, proprio come il logo di un brand. Penso che i processi creativi dei prossimi anni potrebbero prendere sempre più spunto dai vecchi, ma sempre attuali, processi dell’architettura regionalista che ha posto al centro del discorso il tema del contesto. L’analisi del contesto geografico e temporale, sia in ottica globale, sia locale, rivela infatti relazioni nascoste e può così ispirare idee non solo fresche e originali, ma anche rilevanti, senza cadere nella trappola dell’autocitazione e del manierismo. Il principio che ha guidato la realizzazione del post di Hermès è stato proprio questo.